Un po' come alla PlayStation, insomma.
Questo però non cambia gli effetti di quello che un gioco non è, della crudezza di immagini vere, reali, che sugli schermi non mostrano vittime fatte di pixel, bensì persone in carne ed ossa, spesso innocenti. Causa del trauma psicologico di un Ethan Hawke alcolizzato, freddo, assente mentalmente dalla famiglia, che vorrebbe tornare a volare per rivivere l'ebbrezza del cielo e della paura, quella sostituita ora dal senso di colpa, l'impotenza e la rabbia. E dunque riparte da lui Niccol, dall'attore che gli aveva regalato il successo qualche anno fa con "Gattaca", come a voler sostenere ancora meglio l'importanza di un soggetto cinematografico in cui crede, che non solo ha diretto ma anche scritto e prodotto. Per questo noi lo aspettavamo al varco, per capire chi fosse o chi poteva ancora essere: se il regista (e sceneggiatore) talentuoso di inizio carriera oppure quello in crisi d'identità recentemente visto in "In Time".

Volendo andare oltre però quella che potrebbe venir letta come una tendenza politica del regista - che dimostra con grande affezione l'importanza nutrita per il suo progetto (basato su eventi accaduti) - quel che resta della sua opera, forse, è un po' troppo poco. Come l'amaro in bocca di una ciambella col buco ma senza zucchero e dai contorni bruciati.
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