Good Kill - La Recensione

E' una guerra in scatola quella in cui ci porta Andrew Niccol, una di quelle americane, post 11 Settembre, dove i soldati e i piloti non scendono più sul campo, ma uccidono in stanze: con joystick che comandano droni e monitor su cui visualizzare obiettivi da eliminare premendo pulsanti su ordine.
Un po' come alla PlayStation, insomma.

Questo però non cambia gli effetti di quello che un gioco non è, della crudezza di immagini vere, reali, che sugli schermi non mostrano vittime fatte di pixel, bensì persone in carne ed ossa, spesso innocenti. Causa del trauma psicologico di un Ethan Hawke alcolizzato, freddo, assente mentalmente dalla famiglia, che vorrebbe tornare a volare per rivivere l'ebbrezza del cielo e della paura, quella sostituita ora dal senso di colpa, l'impotenza e la rabbia. E dunque riparte da lui Niccol, dall'attore che gli aveva regalato il successo qualche anno fa con "Gattaca", come a voler sostenere ancora meglio l'importanza di un soggetto cinematografico in cui crede, che non solo ha diretto ma anche scritto e prodotto. Per questo noi lo aspettavamo al varco, per capire chi fosse o chi poteva ancora essere: se il regista (e sceneggiatore) talentuoso di inizio carriera oppure quello in crisi d'identità recentemente visto in "In Time".

Che poi ad esser sinceri Niccol il tiro lo ha drizzato, stavolta gira bene, asciutto, non lascia che il suo soggetto si sfilacci o che perda di peso come invece gli era capitato nelle ultime uscite. Però qualcosa in "Good Kill" non ce la fa a prendere quota, e non è solo un protagonista inserito con l'accetta a cui Hawke aderisce con difficoltà, ma probabilmente più la mancanza di un'accelerata che a un impianto di questo tipo - che vive perennemente di interni stretti e di dialoghi - serve per macinare suspense e dettare presa. Invece lascia sempre un senso di estraniamento la pellicola, ininterrottamente ossessionata dalla morale giusto/sbagliato che cerca di discutere a martello e in ogni occasione, attaccando quell'America che tira le fila e salvando (ma neanche tutta) quella che al contrario le fila ce le ha annodate addosso e non sa come levarsele.

Volendo andare oltre però quella che potrebbe venir letta come una tendenza politica del regista - che dimostra con grande affezione l'importanza nutrita per il suo progetto (basato su eventi accaduti) - quel che resta della sua opera, forse, è un po' troppo poco. Come l'amaro in bocca di una ciambella col buco ma senza zucchero e dai contorni bruciati.

Trailer:

Commenti