Il Giovane Favoloso - La Recensione

Dall'Italia unificata di "Noi Credevamo" all'artista Giacomo Leopardi che quell'Italia, poi, l'ha vissuta, il passo è meno lungo del previsto. E quella di Mario Martone finisce per somigliare, così, ad una fase storico e artistica che, perché no, nei contenuti sa essere anche patriota.

Racconta il Giacomo Leopardi-uomo, il regista, nel suo "Il Giovane Favoloso", prendendo il più possibile le distanze dall'operetta scolastica temuta da molti, ma fortunatamente schivata d'istinto. E allora si, Elio Germano si tramuta in quel poeta triste e ricurvo con immensa grazia, non cadendo nella trappola facile e rischiosa di rimanerne vittima. Assume la responsabilità che gli è stata affidata utilizzando tutto il suo talento, in una personificazione che non si serve solo della sua schiena e delle sue gambe, ma entra dentro di lui prendendosi pure testa e cuore. E' un Leopardi autentico quello che porta in scena, credibile e misurato, fedele alla sua fama, ma che comunque non nasconde, mai, l'aspirazione al divertimento (che a quanto pare non gli è concesso). Lo vediamo studiare, leggere, darsi anima e corpo ai libri, un po' per cultura, voracità di conoscenza e brama di sapere e un po' per spinta del padre che dalla realtà stretta di Recanati non ha intenzione di farlo emigrare.

La sua è una biografia racchiusa su innumerevoli libri, e Martone non può completamente ignorarla od escluderla. Però usa solo quella parte che gli serve, la quantità necessaria per imbastire un discorso più ampio che cerca di comprendere la malinconia onnipresente nel poeta in base al rapporto e alla filosofia che lui stesso aveva con la vita. Conoscenza e consigli di certo non gli mancavano, da Pietro Giordani ad Antonio Ranieri, che di lui si innamorano trascinandolo via dalla sua terra natia per esportarlo, con tutto il suo talento nel resto d'Italia. Un paese che lo guarderà sempre con sospetto e ribrezzo, ma che non smetterà mai, in fondo, di incensarlo, volendogli bene.
Come fa anche Martone che è affezionato al suo personaggio al punto da non raccontarne neppure la morte, alla quale preannuncia solo con immagini di una lotta alla sopravvivenza che si va lentamente affievolendo. Il fuoco reale che "Il Giovane Favoloso" vuole accendere d'altronde è oltre ogni cosa di carattere esistenziale, una ricerca ossessiva, poetica e dolorosa di senso della vita e domanda alle sofferenze, richiamata da quel bisogno di risposte e di dubbi risiedente per natura nell'essere umano.

Quei dubbi che secondo il Leopardi di Elio Germano equivalgono alla verità e al sapere, e che davanti all'eruzione del Vesuvio, nella bellissima scena di chiusura, lo trascinano alla consapevolezza di qualcosa di più grande e di inspiegabile attraverso gli ultimi versi poetici di una pellicola sicuramente faticosa come seducente.

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