Una Folle Passione - La Recensione

Prendete una fiction a caso trasmessa dalle tv generaliste, una qualsiasi. Fatto? Toglieteci il cast di secondo ordine e inseritene uno di buon livello, medio-alto facciamo. Fatto? Ora aggiungeteci una cura maggiore per la fotografia, i costumi e la scenografia, facendo attenzione a non alterare minimamente la sceneggiatura. Fatto? Bene, ora miscelate accuratamente il tutto ed avrete realizzato anche voi una pellicola simile a quella diretta da Susanne Bier.

Questa premessa di artattackiana memoria, pur fuori luogo, riassume benissimo ciò che è toccato a "Una Folle Passione": storia d'amore melodrammatica dove una donna sopravvissuta giovanissima a un incendio sposa un imprenditore di legname ricominciando ossessivamente a guardare al futuro. Esistono infatti forzature e incongruenze impossibili da sorvolare nell'adattamento cinematografico del romanzo di Ron Rash, ingenuità compiute dai protagonisti che li rendono meritevoli del loro amaro destino e superficialità nei risvolti di una sceneggiatura (scritta da Christopher Kyle) con cui, non solo si rende ridicolo ogni passaggio, ma si perde soprattutto la voglia di restare a vedere come l'intera faccenda volgerà al termine. A nulla, quindi, serve la presenza di due attori come Jennifer Lawrence e Bradley Cooper, che nonostante credano fermamente nei ruoli a loro affidati, nella goffaggine scenica che li circonda risultano spesso involontariamente comici o quantomeno eccessivi, sprecati, se vogliamo, in qualcosa che sembra non appartenergli mai da vicino e in cui pare siano capitati per caso.

Discorso a parte, tuttavia, vale per Susanne Bier, fantasma impalpabile rispetto alla versione decisamente migliore di sé stessa di inizio carriera e masticata ormai probabilmente da un sistema (e una realtà) più grande di lei, che più che valorizzarla ha contribuito lentamente ad annientarla in senso assoluto. La sua regia anonima è identica a quella di qualsiasi altro mestierante chiamato dalla produzione per coprire un vuoto, e la sua firma, che fino a qualche anno fa portava con sé l'etichetta di promessa del cinema danese, oggi è poco più di un vago ricordo in via di estinzione. La sua fioca voce in capitolo nell'operazione è identificabile in quel pugno di scene dove davvero bastava cambiare una virgola per evitare la figuraccia, mentre invece, chissà per quale fattore, la scelta è quella di non muovere un dito e seguire alla lettera ciò che dice il copione.

Del maleficio di una coppia innamorata, colpevole di essersi difesa a spada tratta da minacce esterne che continuamente minavano la loro felicità e stabilità, resta praticamente nulla allora. A parte le banalità e le incertezze della pellicola di cui fanno parte, destinata forse più a quelle casalinghe in cerca di alternative alle solite sceneggiate riciclate in palinsesti da piccolo schermo, che ad un pubblico più ambizioso.

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