Confusi E Felici - La Recensione

Era chiamato alla prova del nove Massimiliano Bruno, a chiarire quale delle due sue opere viste fino ad ora al cinema rappresentasse al meglio la sua cifra stilistica: se quella promettente di "Nessuno Mi Può Giudicare" o quella confusionaria, e allineata alla concorrenza, di "Viva L'Italia".
A chiarire i dubbi, tuttavia, ci ha messo pochissimo, rispondendo come ci aspettavamo, ma speravamo di non sentire.

Così come era accaduto per la sua opera seconda, anche in "Confusi E Felici" infatti cade nella trappola della pigrizia, manipolando superficialmente il plot niente male a sua disposizione con sui si azzuffa, si prende a botte un pochino, prima di trovare un accordo e scendere a compromessi. Quelli che stanno bene a lui, forse, ma per niente a noi: perché riducono violentemente la potenza comica di un cast a cui è affidato il compito di farsi trasportare dalle ossessioni e dai problemi interiori, messi però non al servizio della storia, ma buttati in mezzo alla facciamoci due risate e consumati voracemente, ignorando in toto le potenzialità di una costruzione e di uno spiegamento meno raffazzonati e più pensati. Claudio Bisio allora risulta lontano anni luce da un ruolo - quello dello psicanalista - che pare essergli stato attaccato addosso con lo scotch, trovando i giri giusti del suo personaggio solo quando viene liberato dalla mansione coperta e omologato agli altri pazienti, anch'essi disegnati a matita e tagliati con l'accetta, fatta eccezione per un Marco Giallini appena, appena più definito.

Quella di "Confusi E Felici" è simile quindi a una sceneggiatura sviluppata in fretta e furia, da un soggetto che poteva tranquillamente esser trattato con più attenzione e da cui sarebbe potuta uscir fuori una commedia piacevolissima, se non addirittura ambiziosa. Bruno da il meglio di sé - come accadde per "Viva L'Italia" - nel corso degli sketch brevi o nelle battute secche, quelle in cui lui stesso e Giallini lucidano la loro romanità verace per caricare le gag e renderle sicuramente più potenti e dissacranti. Ma esaminando il racconto in blocco - come teoricamente sarebbe opportuno fare - ci si accorge senza alcuno sforzo che la pellicola manca sia di uniformità di tenuta e sia di intenzioni precise, accontentandosi di mostrare poco più che macchiette caricate come bombe a orologeria e ricercando con insistenza il meccanismo della scena riconciliante per scaldare uno spettatore che può rimanere, al massimo, intiepidito.

Assai poco, insomma, per parlare di passi avanti, di crescita o altro, poiché Bruno riduce i suoi pregi per allargare i suoi difetti. Ma se si aspettavano conferme, certamente queste sono arrivate, purtroppo han tutte uno sfondo negativo, in particolare quella che afferma che "Nessuno Mi Può Giudicare" non era affatto un promettente esordio, ma - per dirla alla Nando Martellone di Boris - esclusivamente un bbucio de culo! O qualcosa del genere...

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Commenti

  1. Caro Giordano Caputo, immagino tu sia uno di quei rosiconi, per dirla alla romana, che non è riuscito a fare il cinema, ma si è accontentato semplicemente di fare il blogger.

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  2. e questo l'hai dedotto leggendo una recensione onesta? secondo me hai gran talento Anonimo!

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