Chi è Senza Colpa - La Recensione

Lo scrittore statunitense Dennis Lehane, dopo aver lasciato che i più grandi del cinema saccheggiassero le sue opere (e parliamo di Clint Eastwood, Martin Scorsese e del Ben Affleck regista) - realizzando però pellicole di tutto rispetto come "Mystic River", "Shutter Island" e "Gone Baby Gone" - decide di prendersi più spazio e diventare ancor più protagonista, cimentandosi per la prima volta nell'attività di sceneggiatore. Adatta così un racconto breve contenuto nel suo romanzo "Boston Noir": la storia di due criminali di Brooklyn, proprietari di un bar, che da un giorno all'altro si ritrovano dipendenti di una banda di gangster ceceni e del loro riciclaggio di denaro sporco, uno scacco per il quale non possono fare altro che abbassare la testa pur ringhiando ogni tanto in disparte.

Viene allora alla luce "Chi è Senza Colpa", pellicola che alla regia vede il semi-sconosciuto Michael R. Roskam - alla sua opera seconda - e si fa scudo delle interpretazioni certificate di James Gandolfini (nel suo ultimo film) e Tom Hardy, quest'ultimo vera punta di diamante, alle prese con un personaggio silenzioso, calmo, ma all'occorrenza assai pericoloso. Loro sono rispettivamente, Marv e Bob, entrambi soci del bar, ma con una storia alle spalle che se uno rimpiange e vorrebbe cambiare, l'altro, il secondo, porta dietro a fatica, mentendo a sé stesso e convincendosi ripetutamente di essere diverso da ciò che realmente potrebbe sembrare. Come fu per "Mystic River" infatti a contare in assoluto è ancora una volta il passato, in questo caso volontariamente scelto, forzatamente abbandonato e quindi per niente dimenticato. Nella pellicola di Roskam, messa al centro di una città che dovrebbe fungere da filtro, ma che comunque non blocca al cento per cento l'universalità della teoria, c'è quella sensazione di mancata felicità tarpata da qualcuno, spesso non conosciuto, che con la forza e la minaccia costringe l'altro a sottostare alle sue regole e a non potersi ribellare, a meno che non ha intenzione di finire a pezzi, in una cella frigorifera, o nel fondo di un fiume.
Ogni personaggio quindi è ferito, che sia in superficie o nel profondo poco importa, ognuno ha dei demoni da fronteggiare o da evitare, che possono essere i suoi o di qualcun'altro, ma soprattutto ognuno brama voglia di riscatto e di vendetta.

Intorno a queste due parole - riscatto e vendetta - perciò "Chi è Senza Colpa" va a cucire il suo tessuto, e non sempre nel senso più negativo del termine, anzi, inizialmente - guardando alla sottotrama del cagnolino trovato da Tom Hardy e curato e cresciuto da lui insieme all'aiuto di Noomi Rapace - lo fa persino in senso buono, tentando di ricostruire dal fondo con la speranza di uno spiraglio di luce. Tuttavia quella scritta da Lehane non è affatto una storia di rinascita, ma a tutti gli effetti una storia di vita, in parte scelta in parte meno, per cui è evidente che provare a nascondere o a cancellare ciò che si è lasciato alle spalle è solamente un indizio in più che servirà a suggerire che presto ogni cosa tornerà a galla. L'intreccio thriller fornito dalla strana rapina al bar (depositata sul fondo), in questo senso, è determinante per fare in modo che ciò accada, necessario quindi ai fini dello snodo conclusivo, seppur debole nel suo corso e nella sua ossatura. Del resto l'anima che manca alla pellicola di Roskam - conseguenza forse della poca esperienza sia di lui alla regia, sia di Lehan in sceneggiatura - è l'anello mancante che servirebbe per miscelare omogeneamente un composto densissimo, ma non propriamente levigato e al quale non mancherebbero gli ingredienti per conquistare la meta, ma semmai il tocco morbido di chi sa muoversi in una trama dai toni minimalisti ed energici.

Addendi che fanno la differenza quando è il turno di tirare le somme, di emozionarci, di fronte a quelle catene che avremo sempre addosso, ma che non ci impediscono di sognare o di poterci mentire da capo, accettando il compromesso e guardando oltre.
Si resta interdetti, inevitabilmente, dunque da "Chi è Senza Colpa", convinti di avere assistito ad un racconto ricco di spunti ed originale, ma sicurissimi delle sue potenzialità maggiori e poco sfruttate. Né una disfatta, né una conquista, insomma, a parte la bravura di un cast che ovviamente è responsabile principale dei pregi evidenziati.

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