Wild - La Recensione

Perduta la madre e bruciata la vita che aveva faticato a costruirsi in preda al successivo shock, a ventisei anni Cheryl Strayed decide di mollare tutto e affrontare da sola, con solo un enorme zaino in spalla, il percorso di oltre mille miglia del Pacific Crest Trail. Priva di ogni preparazione e conoscenza, la sfida rischiosissima intrapresa diventa per lei prova di redenzione e di riscatto, l'unico modo per recuperare i connotati perduti e riscoprisi in pace con sé stessa e con gli altri.

Potremmo collocarla precisamente a metà tra "Into The Wild" e "Tracks: Attraverso Il Deserto", la nuova pellicola di Jean-Marc Vallée, un corto circuito solitario, distante dalla comune routine, con cui la Reese Witherspoon protagonista (e produttrice) si immerge (a fatica) nei panni del suo reale personaggio tentando di ripercorrerne gesta, demoni interiori, così come dolori e paure. Un viaggio tra uomo e natura, in cui il presente, pieno di ostacoli e incertezze, serve quasi esclusivamente per andare a ritroso e ripercorrere in flashback i passi e gli oblii che hanno portato una ragazza perfettina, impegnata a riscattare i desideri e i rimpianti della propria madre, ad un punto di non ritorno costituito da droghe, perdizione sessuale e distruzione irrefrenabile.
Il lavoro di Nick Hornby alla sceneggiatura però non sembra essere all'altezza né delle premesse e né della leggenda, sarà che la fisicità della Witherspoon non aiuta a rendere credibile l'impalcatura della storia (e che il suo zaino poteva essere ridotto di qualche peso e centimetro), ma tuttavia l'impressione costante è sempre quella di una mancanza di contenuti da dover andare a riempire forzatamente con una serie di dialoghi e scene già viste, peraltro spesso anche imbottite con finti sospetti di un male, superficialmente fermo alle porte e mai desideroso di entrare in scena e colpire davvero.

Di wild, insomma, ci sono solamente i paesaggi e gli sfondi nella pellicola di Vallée, e la vita che la Strayed aveva iniziato a vivere prima di tagliare corto e imbarcarsi per il trakking estremo. Un po' poco se consideriamo le possibilità che uno scenario come quello previsto poteva mettere a disposizione, e un po' preoccupante quando ci rendiamo conto che i momenti di maggior apprensione arrivano quando la Witherspoon rischia di spaccarsi la schiena ogni volta che sceglie di posare e poi di riprendere il suo gigantesco bagaglio, oppure quando la vediamo togliersi le unghie dai piedi massacrati per via della taglia errata dei suoi scarponi.
La realtà è che il succo più potabile prodotto dalla Strayed era concentrato soprattutto nella parte di vita precedente alla sua scelta, quella in cui aveva raggiunto con la madre un rapporto quasi da migliore amica o sorella, e quello in cui, a seguito della sua malattia e morte, aveva deciso di farsi del male a prescindere e donarsi all'insaputa del proprio, inconsapevole e dispiaciuto, marito. Ecco perché del suo viaggio attira praticamente poco o niente, se non qualche incontro a cui purtroppo non si riesce a dare vera credibilità e tensione e quei salti temporali all'indietro, attesi con ansia, ma che per non esaurirsi troppo presto si fanno desiderare, venendo centellinati.

Sbagliano probabilmente l'impostazione perciò Vallée e Hornby, non riescono a dare al loro racconto corretta potenza e passione da renderlo necessario e trascinante. Persino nel tanto atteso finale in cui il nodo più grande sarebbe dovuto venire al pettine e mostrarsi si cade nella risoluzione facilona e superficiale, in larga opposizione con molto di quello precedentemente seminato.

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