Predestination - La Recensione

Poteva far parte di "Kevin Spacey" la nuova pellicola scritta e diretta dai fratelli Michael e Peter Spierig: quel pezzo di Caparezza, di circa quattro anni fa, che in quattro minuti netti uccideva i titoli più famosi della Storia del cinema rivelandone finali e/o colpi di scena.

Del resto anche a "Predestination" piace fare all-in sulla sorpresa, prendere in contropiede e sbalordire, attraverso una storia di fantascienza colma di piccoli indizi e suggerimenti verbali, a cui attribuire un peso specifico più serio di quanto in corso d'opera si possa credere. Sulla prevedibilità della svolta poi, il discorso cambia, che sia indovinabile o meno, interessa poco, considerato che il vero buco non colmato riguardi una sceneggiatura incapace di imporre il suo gioco e di impugnare stretta la presa. Evidentemente ai fratelli Spierig era passato per la mente che la soluzione (discutibile) - ispirata al serpente che si morde la coda - spiattellata al traguardo, potesse bastare ad imprimere ampiezza e convinzione laddove fino a quel momento avevano regnato solamente mistero e confusione. Il mistero di capire dove "Predestination" volesse andare a parare; della componente thriller di cui inizialmente pare voglia farsi carico, ma che poi improvvisamente accantona, riprendendola ancora; e la confusione di base, escogitata preventivamente tramite i vari pezzi del puzzle, portatrice di risvolti controproducenti e mai azzeccati.
Un paradosso, insomma, come quello citato da Ethan Hawke una volta tirate le sue somme, uno di quelli che però, a differenza di ciò che accade all'attore, non fanno né ridere e né riflettere, ma unicamente capire di esser finiti in una trappola circolare, ideata a pennello da due autori alla ricerca di consensi e di fortuna.

Rimane un lavoro di facce allora "Predestination", di espressioni, di corpi, in cui ogni elemento non è da scovare, bensì da analizzare con più attenzione: posizionato li, davanti ai nostri occhi, in una forma appena appena alterata o truccata, che non vede l'ora di farla franca per colpire alle spalle e mollarci uno sberleffo. Ha la spocchia di pensarsi forte, astuto, solido nell'esposizione e nella filosofia sostenuta, troppo fiero quindi per guardarsi dentro e scoprirsi fragile, scomposto e freddo.
Il quadretto atmosferico e catartico concepito in principio da Hawke e dalla co-protagonista Sarah Snook diserta infatti ogni promessa stretta in partenza, sostituendo l'incredibile con l'assurdo e l'azione e la tensione con surrogati fin troppo diluiti e diventando loro stessi così i complici del caos regolare e, infine, insieme a noi, le vittime ingurgitate e sputate..

A ripensarci, dunque, in "Kevin Spacey" forse "Predestination" non ci sarebbe entrato a prescindere, a nulla sarebbe servita la tempistica o la carta d'identità a norma. L'adattamento cinematografico di "Tutti Voi Zombie" di Robert A. Heinlein, scritto dai fratelli Spierig, del resto, è un tentativo velleitario e debole, troppo per venire preso in seria considerazione. Al cinema e tantomeno in musica.

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