The Lobster - La Recensione

Futuro indefinito. La società ha istituito l'obbligo di coppia per gli esseri umani: ai single non è assolutamente permesso di restare tali. Per i casi più disperati esiste la possibilità di un Hotel, uno particolarissimo, in cui rimanere fino a un massimo di quarantacinque giorni e dove è possibile trovare una compagna o un compagno, a seconda del sesso o dell'orientamento sessuale. Se entro i giorni previsti però non è stato trovato un soggetto compatibile e lo stato di single resta invariato, la persona in questione dovrà essere trasformata, volenti o nolenti, in un animale da lui scelto in fase di check-in.

Parte da un idea accattivante il "The Lobster" del greco Yorgos Lanthimos, una di quelle grottesche e originali allo stesso tempo. L'input potrebbe essere tranquillamente lo slogan "single è peggio", nel senso che vivere soli può rappresentare automaticamente una serie di handicap e pericoli, evitabili solo avvalendosi della presenza di un partner al proprio fianco. Eppure le cose sono un tantino più complesse, perché la libertà di scelta, per sopperire a questo cambiamento di regole, non è rimasta immune alle variazioni, ed obbliga ogni persona a congiungersi unicamente con un'altra avente la stessa peculiarità o caratteristica: quindi miope con miope, zoppo con zoppo, insensibile con insensibile e chi ha la zeppola con chi ha la zeppola. Un'istituzione assurda, che tuttavia grava in maniera pesante sull'ansia e l'andamento di una pellicola che, bruscamente, sembra piacersi a tal punto da leccarsi lei stessa e non rendersi conto di alcune linee di demarcazione che valeva la pena non superare e tenere a vista come pericoli.
L'inizio folgorante infatti viene raffreddato e smorzato gentilmente da un avanzamento discutibile e non troppo coerente con le premesse. Lanthimos sprigiona senza filtri la sua tendenza a provocare lo spettatore, lavorando molto più sulle reazioni e le scelte critiche dei suoi personaggi, piuttosto che su una situazione generale alla quale non avrebbe fatto male un indagine più avanzata, con meno dubbi e imprecisioni a riguardo. Per coprire questa mancanza invece vengono selezionati una serie di intervalli crudi e sanguinolenti, dolorosi da vedere e da ascoltare, i quali, oltre ad avere il demerito di mettere a dura prova la sensibilità e il gusto, contemporaneamente fanno smarrire anche la coscienza verso quel filo indispensabile per la quadratura del cerchio.

Tralascia cose che non può permettersi di tralasciare e ne inserisce altre decisamente incomprensibili, insomma, "The Lobster": come, per esempio, una resistenza segreta, ribelle alle nuove disposizioni, che comunque non è estranea ai metodi dittatoriali contro cui lei stessa tende ad opporsi, tentando di scardinarli.
Nella sua seconda parte allora le molle della pellicola saltano a turno, una attaccata all'altra, con direzioni estreme e insensate che per il testardo tentativo di scuotere a tutti i costi superano l'altra funzione, più ponderata, di approfondire tutto un discorso relativo ai motivi di questa rivoluzione e alle sue conseguenze sia nella pluralità che nel singolo. L'entusiasmo diventa sopportazione, grossa sopportazione, e ogni aspettativa di trovarsi di fronte a qualcosa di esclusivo non può che spegnersi fatalmente.

E' lampante, dunque, che la predisposizione coltivata da Lanthimos di infastidire lo spettatore, persino manipolandolo a volte, giochi un ruolo fondamentale nel suo lavoro, mandando all'aria una base di sceneggiatura niente male e colma di potenzialità. Ma ciò che preoccupa ancor di più è che di questo auto-ammutinamento il regista ne sia tutt'ora inconsapevole, magari convinto di aver elevato qualcosa che, in realtà, gli sta ancora gridando vendetta.

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