Comincia con la liberazione di alcuni migranti rinchiusi all'interno di una zona protetta militarmente, "Una Battaglia Dopo L'Altra", con una squadra di eversivi rivoluzionari, chiamati French 75 che promettono di vendere cara la pelle, pur di liberare il proprio paese da politiche sovraniste, razziste e conservatorie che non stanno né in cielo e né in terra. Uno schiaffo - per quanto sardonico e sghembo nell'organizzazione - all'America recente, quella invasa da politiche praticamente identiche e da ideali - anti-abortisti, suprematisti razziali, ecc. - che, evidentemente, non digerisce più nemmeno Paul Thomas Anderson, non in silenzio, almeno.
Prendendo spunto da Vineland, allora, un altro romanzo di Thomas Pynchon - la scorsa volta a illuminarlo era stato lo splendido "Vizio Di Forma" - scrive e dirige (e produce) una storia che parla del presente, certo, ma che spiega pure come a questo presente ci siamo arrivati, gettando idee per un futuro dal quale, probabilmente, sarebbe idealistico ripartire. Inutile star qui a litigare per stabilire se ci troviamo di fronte o meno al suo (ennesimo) capolavoro, tanto è inutile, ma se dovessi sbilanciarmi, diplomaticamente, dichiarerei che il capolavoro di PTA è sempre il suo ultimo film, perché in linea coi tempi e con la maturità che lo accompagna, umanamente e cinematograficamente. "Una Battaglia Dopo L'Altra" è cinema spettacolare, immortale, di quelli che ti prendono per mano e ti accompagnano lungo il suo viaggio a velocità alternata. E a te, spettatore, sta bene qualsiasi cosa: se c'è da correre, corri e se devi rallentare, rallenti. Sostanzialmente, ti fidi, ti fai trascinare, coinvolto emotivamente da questo padre trasandato - il Bob di Leonardo DiCaprio che si è ispirato, ha detto, al Grande Lebowski - che cerca di proteggere una figlia, colpevole di avere avuto una madre - la temibile Perfidia Beverly Hills - che ne ha combinate di tutti i colori e che le ha lasciato in eredità un pericolo di cui sa poco o nulla: per lo più parole d'ordini e istruzioni per la ritirata.
Perché quei French 75 - di cui Bob era l'anima della festa, col suo talento per gli esplosivi - hanno fallito e la madre, teoricamente pura e incorruttibile, appena catturata, ha parlato, compromettendo la missione e la vita dell'intera banda. Coloro che sono riusciti a fuggire, però, sedici anni si trovano ancora nella lista del colonnello Steven J. Lockjaw - uno Sean Penn gigantesco, se non gli danno l'Oscar al miglior attore non protagonista è meglio che chiudano i battenti - che, onestamente, se lo immaginassimo coi capelli arancioni, per come va vestito ci ricorda molto qualcuno. Sebbene, a me personalmente, per le idee, l'ossessione (sessuale) per gli afro e quella tendenza a vestire attillato, ha ricordato pure qualcun altro: uno che la politica italiana recente ha tirato dentro un po' a forza. E' lui la minaccia principale che costringe Bob e Willa a fuggire senza preavviso, a dividersi, mettendo in discussione persino il loro rapporto e la possibilità di ricongiungersi. La loro fuga trasforma "Una Battaglia Dopo L'Altra" in una specie di on-the-road squattrinato, con DiCaprio che - complice pure un Benicio Del Toro breve, ma intenso - deve fare i conti col suo spirito ribelle assopito dagli anni e con le delusioni subite che lo hanno un po' abbattuto e fatto chiudere in sé stesso. La sua è stata la generazione che ha perso, ha fallito e che, in un certo senso, ha fatto sì che la generazione di oggi vivesse in questo mondo al contrario - lo vedi che poi torna?! - dove gente come Lockjaw è al comando ed esistono sette (segrete) - come quella dei Pionieri del Natale(!), in cui Lockjaw vorrebbe entrare - che vogliono fare dell'America uno stato a sole tinte bianche, privo di qualsiasi contaminazione (etnica).
E, allora, in quella che formalmente è la storia di un padre - che poi saranno due, ma no spoiler - che vuole salvare la figlia, si annida un grande discorso politico e sociale che resta sullo schermo in ogni gesto - Viva la revolución! - in ogni battuta e in ogni direzione presa dalla pellicola. PTA ci fa appassionare, ridere, galvanizzare con sequenze d'azione meravigliose che restano immagazzinate nella nostra memoria, ma il suo obiettivo, probabilmente, è pure quello di indicare una via, non importa se giusta, o sbagliata, perché al momento è l'unica in grado di poter accendere una speranza. E questa via è quella della rivoluzione, appunto, di prepararci ad affrontare una battaglia dopo l'altra. Del resto non c'è altro modo per provare a rimettere ordine in questo caos apocalittico. E a prendere le redini, stavolta, deve essere la generazione del presente, sostenuta a gran voce da chi l'ha preceduta e che, purtroppo, si è rivelata disastrosa (buoni e cattivi). Bisogna ripartire dai figli di Bob e Perfidia, dunque, e da quelli di chiunque ambisca a un futuro dove persone come Lockjaw non siano al comando, o abbiano voce in capitolo. Che poi, guarda caso, è proprio ciò a cui stiamo assistendo di recente, con manifestazioni e proteste sacrosante in cui giovani (ssimi) sensibilizzano e protestano proprio al posto di chi governa e preferisce stare (zitto) a guardare (l'elefante nella stanza).
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