lo "La Valle Dei Sorrisi" sono andato a vederlo già preparato.
E per "già preparato" intendo dire che avevo raccolto una serie di opinioni molto positive che arrivavano dal festival di Venezia dove - nella sezione collaterale in cui si trovava - il film di Paolo Strippoli era riuscito comunque a far parlare di sé, a sgomitare, a prendersi lo spazio che si meritava.
E questo perché Strippoli da noi - tra i cinefili, diciamo - è considerato un nome da tenere d'occhio, un autore in rampa di lancio, che aveva fatto intuire chiaramente, coi primi due lungometraggi - che sono stati il co-diretto "A Classic Horror Story" e "Piove" - di saperci fare, di conoscere bene il genere horror, di averlo studiato e di sapere come maneggiarlo, senza rischiare di apparire poco credibile, sbagliato, o, peggio ancora, involontariamente demenziale. Perché in un'industria come la nostra, non abituata a certe dinamiche, il rischio più grande in questi casi è proprio quello di sembrare ridicoli, fuori contesto. Invece dentro "La Valle Dei Sorrisi" di ridicolo e di fuori contesto non c'è assolutamente nulla, a cominciare da una storia che regge alla perfezione il peso delle sue ambizioni e aspettative e che - cosa che ho apprezzato particolarmente - riesce a rimanere sempre coerente, sincera, evitando qualsiasi scorciatoia o qualsivoglia trucco. Storia che mette al centro il Sergio Rossetti di Michele Riondino, un professore di educazione fisica psicologicamente a pezzi, alle prese con un lutto enorme e con dei sensi di colpa che cerca di affogare ogni sera bevendo alcol fino a crollare. È in macchina quando lo vediamo per la prima volta e sta guidando tra le montagne per raggiungere Remis, il paesino dove per tre mesi è stato spedito a fare supplenza. Un paesino tanto remoto e minuscolo quanto discusso e rinomato per come è riuscito a rialzarsi da una tragedia spaventosa, avvenuta sedici anni prima, trovando la ricetta per una felicità costante che gli è valsa, appunto, il soprannome di valle dei sorrisi.
A Remis sorridono tutti, nessuno escluso. Anzi no, perché in realtà un uomo che non sorride c'è, ma lui è meglio ignorarlo, dicono subito a Sergio. L'impressione è quella di stare in mezzo ad un mucchio di pazzi, di persone false e con qualcosa da nascondere: il che più o meno - e noi ce lo aspettiamo, ovviamente - è la verità. A curare il dolore di queste persone, infatti, è Matteo, un quindicenne considerato al pari di un angelo, di un santo, con una fila di fedeli che scalpitano, pronti a incontrarlo. Un suo abbraccio può abbassare le urla del dolore e metterle in muto, non cancellando ciò che è successo, ma alzando una sorta di barriera tra quell'evento e le nostre emozioni. C'è un prezzo da pagare, però, e Sergio lo scoprirà presto, non appena, abbracciato Matteo, tornerà a comportarsi più o meno come il brav'uomo (e padre) e professore che era una volta, sollecitando il suo alunno a pensare anche a sé stesso, a ciò che gli piace e ridimensionando la figura di santone che gli altri - per comodità loro - gli hanno cucito addosso. Ed è da questo momento che l'alone sinistro percepito comincia a saltare, a mietere vittime, a far innervosire una comunità che ormai, abituata a vivere secondo un certo equilibrio, non intende far passi indietro. Involontariamente Sergio apre un vaso di Pandora che bisognava lasciar chiuso e si ritrova a fare i conti con un angelo che, forse, forse, un angelo non è.
E lo sa pure il padre, sotto sotto, che Matteo non è ciò che sembra, a prescindere dal vestito che è riuscito a cucirgli addosso tenendolo sotto controllo, addomesticandolo, facendone un'impresa (redditizia). Ed è inevitabile che tra lui e Sergio nasca un confronto, un dibattito educativo tra genitori che hanno sbagliato e che stanno sbagliando, magari, sebbene alcuni fatti vertano in favore di colui che potrebbe stare dalla parte del torto. Vita, morte, ma pure gioie e dolori. Quei dolori che i cittadini di Remis, disabituati a provare, a un certo punto, con Matteo in sciopero, tornano a galla e trasformano tutti in drogati in astinenza, disperati, incapaci di gestire quelle emozioni negative che pure noi, probabilmente, abbiamo imparato ad affogare e a silenziare attraverso la morfina dei social che, nei momenti vuoti, tendiamo ad aprire per allontanare sensazioni e domande (scomode) che cominciano a muoversi nel nostro cervello.
Ed è sorprendente, allora, vedere come più Strippoli alza la posta e più la sua pellicola metta su muscoli, resti in piedi, scricchiolando solo grazie agli effetti audio, precisi e azzeccati con i quali amplifica il grado di tensione delle scene. Tecnicamente "La Valle Dei Sorrisi" è un prodotto ineccepibile: nel montaggio, nelle inquadrature, nel sound design e persino nella recitazione e nel finale appropriato.
Per indole, magari, e pure per via delle esperienze pregresse, potrebbe capitarci di avvertire ogni tanto qualche stonatura, ma a smentirci, puntuale, è la partitura di un film che sa quello che vuole, sa dove vuole andare a parare e conosce a menadito le strade e le sue potenzialità.
Esaltandole una per una, al massimo livello.
Per indole, magari, e pure per via delle esperienze pregresse, potrebbe capitarci di avvertire ogni tanto qualche stonatura, ma a smentirci, puntuale, è la partitura di un film che sa quello che vuole, sa dove vuole andare a parare e conosce a menadito le strade e le sue potenzialità.
Esaltandole una per una, al massimo livello.
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