Annie: La Felicità E' Contagiosa - La Recensione

Della lista dei registi cosiddetti "impiegati", Will Gluck è sicuramente uno dei più interessanti. Quando si tratta di dirigere una commedia su commissione, lontana da ogni pretesa a parte quella di intrattenere, lui è l'uomo perfetto, capace di trasmettere il giusto colore e le giuste pulsazioni persino al copione più piatto e sbiadito di Hollywood.

"Annie: La Felicità E' Contagiosa" è senza ombra di dubbio il suo lavoro peggiore (nettamente sotto "Easy Girl" e "Amici Di Letto"), ma nonostante ciò è un musical che si fa guardare volentieri e a cui, in certi momenti, è veramente impossibile non volere bene. Quando si lavora sotto padrone, del resto, bisogna essere bravi a tirare fuori il meglio dal materiale a disposizione e dal remake dell'omonimo film del 1982, probabilmente, non si poteva fare di meglio. O perlomeno non era questa la richiesta.
Quella che da noi infatti è una pellicola arrivata in piena estate, dalla Sony era stata progettata come prodotto prettamente natalizio: incaricato di sfruttare la magia ed il clima delle feste, insieme a quella tradizione famigliare da applicare tra le mura di casa come al cinema. La percezione del fuori stagione, non a caso, è percepibile costantemente lungo l'intero cammino della storia, che scrupolosamente in linea con i dettami ordinati, tende a sprizzare positività ed allegria da tutti i pori, sebbene argomenti di una trovatella in pessime condizioni di adozione e alla ricerca della sua reale famiglia.

A dispetto di un passato palesemente più snodato stavolta Gluck allora aveva a che fare con numerosi paletti da rispettare, spesso talmente vicini l'uno con l'altro da causare, senza via di scampo, intoppi e rallentamenti. Tali ostruzioni in "Annie: La Felicità E' Contagiosa" si sentono tutti, difficilissimi da coprire e ancora di più da eliminare.
Si barcamena così tra alti e bassi il regista, trovando una costanza tra i medi che, fortunatamente, è bravissimo a rintracciare e a mantenere per la maggior parte del tempo attivi e dominanti sulla scena. Trascinare a largo un musical che non ha nelle canzoni i suoi punti più forti d'altronde non è una missione semplice per nessuno, tantomeno per chi è abituato a utilizzare ironia e alchimia tra pochi attori per portare a casa incarico e risultato.
Tra Jamie Foxx, Cameron Diaz, Rose Byrne, Bobby Cannavale e la piccola Quvenzhané Wallis invece c'è eternamente distacco e dislivello, con parti di cantato e parti di recitato incapaci di trovare uno stretto legame tra loro e a cui non rimane, dunque, che darsi il cambio causando ogni volta il male minore eventuale.

Detto questo, tuttavia, in alcuni stralci la pellicola di Gluck è brava ad emozionare e a far inumidire gli occhi dalla commozione, che immaginiamo, era ciò a cui mirava e aspirava. Avesse sforbiciato qua e la di una quindicina, ventina di minuti, le cose sarebbero andare magari anche meglio, ma calcolati i rischi dell'operazione e le coordinate, per l'ennesima volta - secondo chi scrive - il regista ha ottenuto il massimo e superato l'esame.

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