The Whispering Star - La Recensione

Passa il tempo, ma è come se non passasse. Passano gli anni, ma ogni cosa resta immutata. Siamo nel futuro distopico ipotizzato da Sono Sion, quello dove la razza umana è in estinzione, e l'80% degli abitanti sono dei robot che, a loro modo, vivono il pianeta tentando di comprenderlo per comprendere anche noi.

C'è pure chi, però, dal pianeta ha deciso di elevarsi, chi vuole procedere a svolgere il mestiere del robot all'antica, servendo quindi la razza umana, magari consegnando pacchi da un pianeta all'altro in una navicella spaziale a forma di casa. Il servizio è pessimo, ogni pacco arriva a destinazione a distanza di anni, eppure è proprio questo che i clienti chiedono a Machine ID 722, la donna delle consegne, che nel frattempo prova a spiegarsi come mai, con il teletrasporto a disposizione, le persone preferiscano aspettare attese lunghissime per ricevere ciò che desiderano e di cui necessitano. La risposta ipotizzata è che, stanchi dell'istantaneità, il brivido dell'aspettare, del "non immediato", abbia ricominciato a scaldare nuovamente il cuore dei pochi rimasti in terra, ma per un robot - generazione a prescindere - queste possono essere solo supposizioni mai verificabili per davvero. Tuttavia in "The Whispering Star" niente è come sembra, i robot appaiono umani: hanno bisogno di un tè, di una sigaretta, di starnutire, di scorazzare in bicicletta. Gli umani però non appaiono robot, anzi, danno l'idea di essere tornati in una condizione migliore, alla ricerca del contatto fisico, dell'aria aperta, delle piccole cose, in risposta, probabilmente, ad una estinzione cominciata e perpetuata proprio per via di un processo che aveva contribuito a separarli dalla loro natura.

Espone il suo racconto in bianco e nero, Sono Sion, con un ritmo e una staticità d'immagine che aiuta ad entrare in connessione con quel tempo che scorre, ma sempre uguale a sé stesso: come può esserlo il rubinetto dell'acqua della navicella - a cui dedica l'apertura - che continua a perdere giorno, dopo giorno, inarrestabile. Traspare un'atmosfera di solitudine nella sua fantascientifica rappresentazione, una solitudine che è sia dei robot che degli umani, di un universo svuotato, che non smette di esistere, e di chi lo abita, disposto a tenere incastrata una lattina di plastica sotto la scarpa pur di sentire ancora un rumore, un suono o qualsiasi cosa che possa aiutarlo ad avere un briciolo di compagnia.
Questo almeno fino a quando "The Whispering Star" non decide di stringere il campo e di giungere alla sua cesura, portando Machine ID 722 nell'ultimo pianeta abitato esclusivamente da umani, in un accampamento artificiale, dove vige la raccomandazione di non superare la soglia del rumore oltre i 30 decibel. Durante i passi che portano la donna a destinazione, presso la famiglia a cui effettuare la consegna, ci rendiamo conto di come in quel luogo - se vogliamo sacro - le persone abbiano ricominciato a condividere e a restituire importanza a ciò che in precedenza sembrava aver assunto un ruolo superficiale o sotteso, mutando, così, all'improvviso, quella solitudine di fondo in un segnale di speranza e di malinconia.

Ed è con la malinconia che Sono Sion sceglie di rimandare Machine ID 722 nello spazio, nella sua navicella vuota, stracolma di pacchi da recapitare a chissà chi e con accanto il solo computer di bordo che ogni tanto si lascia andare a qualche frase o richiesta. Li dentro, nel silenzio più fondo, la lacrima di un robot viene giù spontaneamente, come ad imprimere il segnale dell'ennesimo mutamento che si avvicina.

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