Gli Ultimi Saranno Ultimi - La Recensione

Non è il far ridere e basta che interessa al Massimiliano Bruno cinematografico. All'esordio, forse poteva sembrare - perché costretto, magari, da un box-office che ne avrebbe condizionato il futuro - ma in quel "Nessuno Mi Può Giudicare" le bruttezze delle persone che abitavano un paese sul quale, lui, voleva dire la sua, le aveva già rovesciate sul tavolo e cominciate ad ordinare; ricoprendole comunque di quel lato buonista a cui fatica ogni volta a rinunciare e a contenere. Più nitido, ma meno efficace in questo senso fu "Viva l'Italia": con gli stessi ingredienti, in quantità rimescolate e quella critica feroce alla politica nazionale, indirettamente influenzata dagli elettori, colpevoli di esserne lo specchio e quindi il seme. Un ibrido è stato poi il "Confusi E Felici" realizzato in seguito, mentre con "Gli Ultimi Saranno Ultimi", adesso, Bruno adatta in lungometraggio lo spettacolo teatrale probabilmente più importante della sua carriera, inquadrandosi, per certi versi, definitivamente come l'autore che vuole (o vorrebbe) essere.

E' un buono, Bruno. Lui si, nonostante non possa considerarsi tale, è (stato?) uno di quegli ultimi che racconta e che vuole salvare a tempo indeterminato. Di ridere e per ridere non c'è tempo, in fondo, non in questo momento, e a prendere il sopravvento è quell'urgenza di provare almeno a sensibilizzare lo spettatore usando il mezzo di comunicazione considerato più diretto e potente. A "Gli Ultimi Saranno Ultimi" manca la cattiveria però, quella che il suo regista sa inserire nelle sue battute e non nei destini dei personaggi che racconta, al posto di quella, lui, preferisce infilarci la retorica: troppa, insana, scarica per fungere da proiettile motivazionale. Racconta una guerra tra poveri la sua pellicola, quella guerra tra poveri che esiste e a cui oggi abbiamo imparato a credere e accettare. La Luciana di Paola Cortellesi, suo marito Stefano - interpretato da Alessandro Gassman - così come gli amici che frequentano, sono persone comuni, come noi, scappate - non lo sappiamo - da una città che non potevano permettersi, oppure nate in quel paese lontano da Roma che sta cominciando altresì a diventare inferno per via della crisi che, di conseguenza, mina il lavoro come meglio riesce, spesso ingiustamente. Divide il racconto a metà Bruno, con un Fabrizio Bentivoglio, poliziotto trasferito dal nord al centro (per punizione), che incorpora la trama parallela che poi, attraverso simbolismi e segnali premonitori che aleggiano a fasi alterne intorno a lui e alla Cortellesi, finirà per incrociarsi in quel finale spoilerato parzialmente nel prologo.

Opta per adottare una forma di racconto in stile europeo "Gli Ultimi Saranno Ultimi", mantenendo il calco del suo regista che, per fortuna e per sfortuna, non vuole snaturarsi, ma continuare a riconoscersi in un prodotto che - si vede - per lui rappresenta molto e ci tiene a curare a fondo. La sincerità messa la sentiamo tutta, anzi, forse è davvero l'ingrediente presente in quantità maggiore nella pellicola, superiore, nelle dosi, persino ad ognuno dei suoi lavori precedenti. Eppure senza quella voglia di alzare la testa, senza quella rabbia che ti spinge a sparare davvero, e non "a salve", gli sforzi di Bruno, seppur non del tutto vani, vanno a indebolirsi e a diminuire la muscolatura di quella che, se sciorinata in maniera meno affettuosa e positiva, poteva essere una storia aggressiva e commovente.

Se due indizi fanno una prova, insomma, con quattro si può davvero chiudere il caso. E pur apprezzando il cuore e la forza di volontà messa in gioco da Bruno, bisogna dire che la sua mano risulta assai più convincente quando impegnata nelle commedie principalmente spensierate e con qualche sprazzo di drammaticità messo lì a stemperare. Capovolta a testa in giù, ahinoi, la faccenda senza dubbio tende a suonare più stonata ed imprecisa. E questo è un fatto ormai comprovato.

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