Quo Vado? - La Recensione

Sotto certi aspetti esagera Pietro Valsecchi quando accomuna Checco Zalone e i suoi film ad Alberto Sordi e Mario Monicelli, si fa prendere troppo dal suo mestiere di produttore, con l'intento magari di forzare anche opinioni, decisamente fuori contesto e inappropriate. Eppure, come ammettono in primis, Zalone stesso e il regista Gennaro Nunziante, il loro cinema è a quei modelli che vuole guardare, non tanto con l'integrità di chi ha intenzione di emularli al millimetro, quanto con la voglia di raggiungere la stessa popolarità e affezione per accaparrarsi una fetta consistente di pubblico e tenersela stretta praticamente in eterno.

La differenza tra ieri e oggi tuttavia la fa il box-office, un giudice diventato così presente e determinante, al punto da condizionare già in fase di pre-produzione ciò che il prodotto finale dovrà essere e contenere. Una croce che su lavori come "Quo Vado?" pesa inevitabilmente più del previsto, perché rinforzata dai traguardi raggiunti in passato dal suo protagonista, i quali, per regole del gioco, quantomeno hanno il dovere di dover essere inseguiti, eguagliati se non addirittura superati. Insomma, per Zalone il cinema rappresenta ormai la rincorsa contro sé stesso, una rincorsa che può aver senso, solo se il pubblico viene accontentato ed esce soddisfatto dalla sala, il che, da un altro punto di vista, è praticamente la lama di una trappola rischiosissima che potrebbe, alla lunga, andare a bruciare oltre che la freschezza del comico soprattutto le possibilità interessanti, e non percorse, dei suoi copioni. L'incipit di "Quo Vado?" infatti è probabilmente il migliore in assoluto che la collaborazione tra Zalone e Nunziante abbia mai partorito: con un funzionario di un ufficio provinciale ossessionato dal posto fisso che, a seguito dei tagli economici, rifiuta la buona uscita e accetta la ricollocazione in qualunque parte d'Italia e del mondo pur di non rinunciare a quei privilegi che altrimenti non troverebbe da nessun'altra parte. Uno stratagemma con cui Zalone esce fuori dal suo territorio di origine e dall'Italia in generale, esportando l'ignoranza che lo contraddistingue e la mentalità retrograde, in posti improbabili come il Polo Nord e la Norvegia, aggiungendo al suo repertorio di base le sfumature legate allo spirito di adattamento, alla cultura e a quella civiltà italiana tanto contestata all'estero.

A fungere da elemento di rottura tra le varie battute, gli sketch e quello che teoricamente è lecito aspettarsi da una pellicola di questo genere, c'è allora il cambiamento di un protagonista che, per la prima volta, anziché portare nel suo orticello le persone con cui inizia a scontrarsi, decide di arrendersi e di farsi travolgere dall'educazione, adattandosi ad un comportamento normale, ma per lui del tutto strano, anomalo e sconosciuto, propenso ad abbattere la disuguaglianza tra uomo e donna, a privilegiare la correttezza e a favorire l'integrazione dell'italiano all'estero come dell'essere umano ovunque. Comportamento che, per ovvi motivi, è destinato a restare vivo a breve scadenza, ma con cui Zalone, oltre a strappare le risate migliori, riesce, nel suo piccolo, a rievocare lo spirito di un certo tipo di commedia all'italiana, oggi tendenzialmente scomparsa, eppure, ci dice, non interamente estinta. Uno spirito a cui però, per resistere, servirebbe il sostegno di una fermezza e di un'aspirazione che "Quo Vado?", colpa dei suoi obiettivi, non può permettersi di pavoneggiare, poiché andrebbe in conflitto con quei confini e quella natura positivista che gli scorre in vena, con la quale ha l'incombenza di accontentare chiunque, appesantendosi e restando al di sotto delle sue potenzialità.

Quelle, appunto, che rendono le affermazioni di Valsecchi delle esagerazioni, ma che, in un universo dove Zalone è al servizio della storia e non viceversa, non sarebbero certo da cestinare rapidamente e in pianta stabile. Quell'universo che, chi lo sa, se prima o poi al comico pugliese non verrà voglia di prendere in considerazione, uscendo fuori dal territorio così marcato, di cui ormai è "padrone", per spingersi abbastanza a largo e rischiare: misurandosi più da vicino con quel cinema che ha sempre visto lontano chilometri e sperimentando un nuovo livello, pericoloso, ma meno circoscritto di quello attuale.

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