Kung Fu Panda 3 - La Recensione

Quando credevi che il franchise di "Kung Fu Panda" avesse esaurito il suo potenziale e che, quindi, non avesse alcuna ragione di tornare a farsi vivo, ecco, che a smentirti irrompe un terzo capitolo che ha tutta l'aria di voler perseverare: disposto a toccare il fondo pur di provare a rilanciarsi.

Così "Kung Fu Panda 3" si presenta come un parziale ritorno alle origini, con Po rimesso nelle condizioni precarie, vissute nel fortunato primo capitolo, e chiamato a fare i conti con alcuni dubbi esistenziali che vanno ad intaccare anche la sua figura, forse non ancora compiuta, di guerriero. Strategia elementare, classica al giorno d'oggi nei sequel, adottata per rischiare meno e dar fiducia alla matematica, rispondendo a qualsiasi problema con il potere della logica e dei dati alla mano. L'esito dell'espressione tuttavia è un prodotto che funziona, o meglio, che torna a funzionare sulla falsa riga di come aveva saputo fare in passato, con una storia che coinvolge a sufficienza e una scansione di eventi ben organizzata e ordinata. Il salto di qualità lo si percepisce persino nell'estetica, in particolare in un prologo molto convincente proprio perché impostato in un mondo di mezzo - quello degli spiriti - che lascia ampio margine di manovra all'uso dei colori e della fantasia, richiamando leggermente quell'immaginario legato un po' ai videogiochi e un po' ai fumetti che, voluto o meno, lascia comunque un retrogusto di soddisfazione e armonia. La regia di Alessandro Carloni e Jennifer Yuh a questo punto si fa ordinaria amministrazione, il controllo sobrio di un prodotto pensato per non andare mai fuori dai margini e rispettare schemi standardizzati che prevedono, imprescindibilmente, lo spettacolo come risorsa dominante, la risata a far da sfondo e il coinvolgimento emotivo posto un tantino al di sotto, in secondo o in terzo piano.

Star indiscussa allora di tale palcoscenico torna ad essere quindi la voce del carismatico Jack Black (nel doppiaggio italiano Fabio Volo, il che potrebbe fare la differenza), che nelle battute, la comicità e le espressioni di Po riesce ad essere talmente incisivo e aderente da dimostrare di possedere ancora integra quella verve e quell'istinto umoristico che da tempo (ormai anni) non riesce più a portare in scena in carne ed ossa. E' lui il catalizzatore della pellicola, il motore del divertimento: entrato praticamente in simbiosi con il panda protagonista al punto che in certi istanti sembra quasi di poterlo vedere attraverso. Intelligente dunque - quantomeno col senno di poi - la scelta dei due sceneggiatori Jonathan Aibel e Glenn Berger, di ridimensionare ai minimi termini le presenze di tutti gli altri personaggi di contorno (nuovo villain compreso), mantenendo lui quasi sempre come centro della scena e non perdendo mai, di fatto, quel ritmo spedito e piuttosto intenso con il quale andare a conquistare l'azzardato obiettivo prefissato.

Perciò, perseverando con cervello, quel prodotto che davamo per finito, esaurito e da archiviare, fingendo di voler toccare il fondo trova quella spinta necessaria con cui risalire la china e rimettersi in pista. Certo, non si può gridare al miracolo o a chissà cosa, e magari lo sforzo è servito solo per ritardare ciò che poi, comunque, dovrà accadere, ma per ora, Po, con il suo Kung Fu goffo e a dir poco discutibile è riuscito per l'ennesima volta a sconfiggere un temibile nemico.
Un nemico destinato però a rifarsi vivo.

Trailer:

Commenti