La Pazza Gioia - La Recensione

Pensate un secondo se la giovane Anna Michelucci di "La Prima Cosa Bella", anziché crescere i suoi bambini tra mille difficoltà, fosse stata ritenuta non idonea a fare la mamma già dal primo figlio e avesse abbracciato la fragilità che portava dentro al punto da finire ricoverata all'interno di una comunità psichiatrica di recupero. Pensate poi se destino simile fosse capitato anche alla Carla Bernaschi di "Il Capitale Umano", che invece di salvarsi dagli imbrogli economici del marito, per una serie di circostanze a noi sconosciute, avesse perso totalmente la sua fortuna, non accettando la nuova realtà delle cose e terminando, così, nella stessa struttura di cui sopra, della quale però percepisce di essere padrona e non paziente.

Ecco, se voi ci avete pensato per almeno un secondo, Paolo Virzì, forse, deve averlo fatto un pochino più a lungo, chissà, magari inconsciamente, considerando che "La Pazza Gioia" somiglia, sul serio, ad una storpiatura e ad una ricollocazione degli ultimi personaggi che Micaela Ramazzotti e Valeria Bruni Tedeschi hanno interpretato nella filmografia del regista livornese. Ma al di la delle teorie campate per aria, o quasi, c'è da dire che in questo frangente il taglio applicato - sebbene possa sembrare assurdo - sia prevalentemente quello della commedia, una commedia che prova a mettersi ogni volta di fronte al dramma, dominandolo il più possibile e facendosi da parte solo nel momento in cui al dolore di fondo deve subentrare la commozione, quelle lacrime liberatorie, benefiche più delle risate. Parla infatti di due donne che hanno subito nella loro vita oltre il dovuto, la pellicola, due donne caratterialmente frangibili e, per questo, condannate a soffrire. Le vittime di un mondo che non è, né più cattivo, né più buono di quello che conosciamo, eppure non sempre sostenibile da chi quella forza per combattere o i mezzi per poterlo fare non li ha mai sviluppati o non ha il coraggio per adoperarli. In questi casi allora, forse, può succedere davvero che la pazzia faccia capolino, che vada a contaminare azioni, pensieri, o decisioni, conducendo al compimento di gesti sconsiderati o pericolosi, per i quali, inevitabilmente, nostro malgrado, si è costretti a pagare e a caro prezzo.

Tuttavia Virzì a questa pazzia - che comunque, pur nella sua non totalità c'è, non possiamo negarlo - ha intenzione di rispondere nella maniera che meglio conosce, quella probabilmente, secondo alcuni studi, più costruttiva, che respinge l'esilio e i medicinali pesanti e incoraggia il contatto umano, i rapporti affettivi e un sostegno espansivo a cui potersi aggrappare e affidare. E Beatrice e Donatella - le due donne protagoniste - pur non trovando mai un'armonia di fondo tra loro, e non essendo salutari al 100% per guarirsi a vicenda, diventano l'una il sostegno dell'altra, fuggendo via dalle quattro mura che le vorrebbero sotto controllo e scappando in lungo e in largo alla ricerca di quella pace interiore che, ormai, cominciavano persino a sospettare non gli fosse stata spartita. Due anime stordite, fuori asse, magari, ma vivissime e con la voglia matta (si, pure quella) di conquistarsi quel pezzo di benessere che sono sicure gli appartenga, dovesse costargli l'intero resto della vita che gli rimane e che la società ha voluto addirittura condannargli.

Un grido di protesta sotto mentite spoglie, insomma, che non ha nulla a che vedere, in ogni caso, con quel "Thelma e Louise" a cui "La Pazza Gioia" secondo alcuni è paragonabile, e che semmai potrebbe avvicinarsi di più all'essenza di "Qualcuno Volò Sul Nido Del Cuculo", pur non provando mai volontariamente ad imitare né l'uno e né l'altro. Perché, fondamentalmente, ci troviamo davanti ad un Virzì purissimo e definito, presumibilmente minore rispetto alle ultime uscite, ma pur sempre pronto e preparato per emozionare, trascinare e conquistare il cuore dello spettatore con la semplicità.
Quella che, secondo lui, contro la pazzia, sarebbe cura assai più efficace di ogni medicinale.

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