Cell - La Recensione

Eli Roth aveva definito "Cell" come un potenziale, intelligente, film di zombie. Aveva detto di avere grandi piani per l'adattamento cinematografico che gli era stato commissionato, che voleva rendere la storia un vero e proprio evento e non vedeva l'ora di mettersi all'opera.‎ Questo, prima, di abbandonare poi il progetto per "divergenze creative" con lo Studio e lasciare che la palla finisse tra le mani del collega, più malleabile e meno anarchico, Tod Williams.

Al romanzo di Stephen King, il regista di "Hostel" voleva fornire evidentemente un taglio ‎splatter più o meno pesante, diverso da quello del ‎thriller cupo, adottato, infine, da Williams (per ordini della produzione o meno), dove le dosi di sangue, violenza ed esplicitazione non sono né così disturbanti né tantomeno eccessive. E pensare che come scelta stilistica, quest'ultima, non sarebbe neppure troppo negativa se "Cell" non soffrisse di un atteggiamento innocuo e di mancato carattere, se riuscisse ugualmente, privato di quell'estro puramente rothiano, a compiere il suo dovere e ad influenzare lo spettatore facendosi forte della tematica interessante che gli fa da sfondo: anziché adagiarsi, pigro, sulle sole atmosfere post-apocalittiche alla "The Walking Dead", alla lunga ridondanti e logore. Perché anche se gli zombie nella storia realmente non ci sono, a sopperire a loro e all'infezione di un ipotetico virus, c'è il telefonino, quell'elemento imprescindibile al giorno d'oggi, nella vita di ogni persona, che all'improvviso, per un motivo sconosciuto, funge da morso letale per chiunque lo tenga all'orecchio in chiamata in corso, facendogli perdere il controllo e trasformandolo in un animale violento, assetato di carne. Battere la strada dell'horror puro, quindi, era un fattore spontaneo quanto positivo, utilizzabile, a discrezione, come requisito numero uno, oppure, nel caso meno comune, come ossigeno refrigerante da contrapporre, magari, alla questione relativa alla sopravvivenza e al conflitto interno vissuto dal personaggio di John Cusack, reduce dall'aver abbandonato la sua famiglia e ora, tra i vari sensi di colpa, intenzionato a rimediare correndole in aiuto e mettendo a repentaglio la pelle.

Ad aiutarlo il Samuel L. Jackson con il quale l'attore aveva già lavorato di recente nell'altro adattamento di King, "1408", che, al contrario di questo "Cell", non aveva paura di spingere sul pedale del terrore, indovinando non poche situazioni di alto livello. Quelle che nel film di Williams, invece, a parte probabilmente una partenza fulminante e adrenalinica, non ci sono praticamente mai, neppure quando il regista sembra voler fare il verso a "Dal Tramonto All'Alba" di Robert Rodriguez, chiudendo i suoi superstiti all'interno di un bar abbandonato, dove qualcosa va oltre le loro considerazioni e rischia di mandare all'aria un luogo sicuro, convertendolo nella tana del lupo. I demoni che inseguono Cusack, tallonandolo psicologicamente, dal canto loro non sono in grado di tirar fuori una sottotrama abbastanza intrigante e valida da poter sviare la tensione e spostare completamente l'interesse verso un discorso più drammatico e passionale. Raramente infatti danno la sensazione di voler ribaltare il contesto, rivoluzionandolo. Sbucano a sorpresa, ma alla fine rimangono costantemente impigliati in mezzo ad una rete narrativa che di problemi, purtroppo, sembra averne più di quanti ne abbiano tutti i suoi personaggi messi assieme.

Dal travaglio pre-produttivo che lo ha colpito, insomma, pare che "Cell" non sia riuscito più a riprendersi e a rialzarsi. Manca di temperamento l'opera di Williams, un temperamento che, forse, un regista maggiormente audace, come Roth poteva essere in grado di concedere, cambiandone cifra, sorti e (chi lo sa) destino. Certo, alla fine poteva uscir fuori un film decisamente differente e con un visto censura superiore, un film non adatto agli stomaci deboli e pane per i denti per la critica più sensibile, ma sarebbe stato meglio, comunque, perché almeno se ne sarebbe parlato. Mentre per come è andata, su "Cell", pare ci sia davvero ben poco da discutere.

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