Il Piano Di Maggie: A Cosa Servono Gli Uomini - La Recensione

Nel film di Rebecca Miller sono le donne ad avere il comando. Spetta a loro il potere decisionale, l'autorità assoluta di affermare cosa bisogna fare e cosa no. L'uomo è, in qualche modo, un elemento accessorio: serve si, ma neanche troppo (solo per fare figli?), dipende dalle sfumature, perché orientativamente non è in grado di portare come si deve quei pantaloni che, una volta, era l'unico a dover indossare. Ci prova, si costringe, si applica, ma con scarsissimi risultati.

E la regola vale sia se al suo fianco c'è la Maggie pianificatrice di Greta Gerwig sia se c'è la sboccata e nevrotica Georgette di Julianne Moore, entrambe innamorate, capi ufficiali e cuori delusi da un Ethan Hawke che tutto sommato nella condizione di uomo addomesticato troppo male neanche ci sta. Perché, alla fine, in "Il Piano Di Maggie: A Cosa Servono Gli Uomini" non è l'uomo a porsi dei problemi, anzi, di suo pugno lui, al massimo, si lamenterebbe senza comunque cambiare nulla (a patto di non passare per marionetta); è la donna, al contrario, a voler agire, modificare, prendere in mano le redini e illudersi di riuscire a plasmare il destino secondo quelle che sono le sue volontà. Specialmente se in gioco c'è l'amore. Le donne raccontate dalla Miller sono infatti mastini implacabili, soffrono come le altre, né più e né meno, sono fragili, ma dalla loro tristezza e dalle loro delusioni ricavano costantemente forza per andare avanti, alzando la testa e ricominciando a camminare a passo maggiormente spedito rispetto a prima. Senza di loro l'uomo chissà come farebbe, come affronterebbe l'impegno di una famiglia, l'ordinarietà delle faccende di casa, tutte quelle responsabilità che preferisce ignorare, magari, pagando lo scotto di un ruolo preciso da interpretare, o della valvola di sfogo da prender di mira. Uno scenario assai divertente, in effetti, composto da uno stacco tanto netto quanto surreale tra i due sessi: terreno fertile, ovviamente, per battute sarcastiche e risate a ripetizione capaci di impostare, inevitabilmente, la storia verso dei toni e dei ritmi incisivi e brillanti, ai quali di rimbalzo, schierati alle spalle dei protagonisti, va ad aggiungersi l'eco tagliente della coppia formata dai due comici-comprimari interpretati da Bill Hader e Maya Rudolph.

Loro sono praticamente l'ago della bilancia di Maggie, le persone con cui la donna si confida, si sfoga e a cui va a chiedere aiuto nei momenti di crisi estrema. L'esempio perfetto - eppure complicato da vedere per lei - di come nei rapporti sentimentali non esista un meccanismo di funzionamento impeccabile a lungo termine, bensì fasi alterne in cui è fondamentale mantenere i nervi ben saldi e non lasciarsi trascinare dallo stereotipo della favola del principe azzurro, del partner perfetto e del vissero tutti felici e contenti.‎ Perché nel rapporto di coppia pensare possa esistere una felicità costante è a dir poco utopistico, come è utopistico credere che nella vita possa dipendere tutto da noi e dalle nostre pianificazioni: visto e considerato che spesso, la nostra volontà, conta addirittura meno di zero, e per quanto possiamo dannarci, ammazzarci e distruggerci per fare in modo che il puzzle coi pezzi sbagliati che abbiamo sul tavolo finisca per combaciare, esisterà sempre qualcosa pronta a far crollare a terra il nostro bel disegnino esemplare.

Avere il controllo, insomma, è fatica sprecata, non serve, è un illusione, ce l'hanno detto anche altri in passato e la Miller lo sottolinea nel caso in cui qualcuno si fosse distratto e non avesse recepito il messaggio. Il suo adattamento del romanzo di Karen Rinaldi, pur non apportando novità alla tematica è, senza dubbio, una commedia romantica che fa il suo dovere, decanta l'amore e splende grazie a dei protagonisti che praticamente la tengono riparata da ogni tipo sbavatura.
Tranne quella del duello senza esclusione di colpi, in cui noi uomini, ahime, probabilmente, ne usciamo un tantino troppo malconci rispetto alla controparte.

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