Demolition: Amare E Vivere - La Recensione

Demolition Jake Gyllenhaal
Dire che per aggiustare qualcosa serva prima smontarla tutta completamente, forse è un consiglio leggermente esagerato, perché spesso, per risolvere un problema, sarebbe sufficiente intervenire solo sulla parte meccanicamente difettata. Certo, se questa riguarda il cuore dell’oggetto, il motore, il pezzo fondamentale che permette agli altri intorno di svolgere le proprie mansioni, allora, è facile davvero che non resti altra scelta, che armarsi di santa pazienza e attrezzi sia l’unica via, mettendosi ad operare disassemblando vite per vite e componente per componente.

Il corpo di Jake Gyllenhaal, tuttavia, non è come il suo frigorifero di casa, non perde acqua, anzi, è esattamente il contrario. A seguito della perdita di sua moglie in un incidente stradale lui non è riuscito a versare una lacrima, non sente niente, tranne la volontà di uscire dal caos abitudinario e cominciare a guardare le cose da un’altra prospettiva, una prospettiva non più profonda o filosofica, come la logica, in teoria, farebbe intendere, ma più libera e scoordinata. I consigli del suocero (anche capo), quindi, di “smontarsi” per comprendersi, finiscono per assumere dentro di lui una piega esasperata e folle, una piega che contribuisce a fargli rompere quelle righe solidissime che da dodici anni seguiva metodico senza più ricordare il motivo e con le quali era riuscito a costruirsi una vita di successo di cui, improvvisamente, gli importa zero o poco più. Spacca tutto, insomma, in “Demolition: Amare E Vivere”, Gyllenhaal, con la scusa di provare a riparare il frigorifero per esaudire l’ultimo desiderio espresso dalla moglie, si fa prendere la mano e dalle lampade del suo bagno giunge fino ai muri portanti del suo salone, coinvolgendo nel processo di analisi estremo anche il finto equilibrio di Naomi Watts e figlio che per via di una mancata erogazione al distributore automatico dell’ospedale diventa da semplice operatrice del servizio clienti, medicina super-efficace - non sessuale - con la quale accompagnare il difficile momento sperando di cavarne un ragno dal buco.

Demolition Gyllenhaal WattsNon si smentisce Jean-Marc Vallée e, dopo aver restituito umanità al cowboy ignorante di Matthew McConaughey e esorcizzato il terrore e le debolezze dell’esile Reese Witherspoon, procede il suo cammino alla ricerca di storie in cui andare a rivoltare come calzini le esistenze dei protagonisti. Nel farlo, però, si porta dietro pregi e difetti, il regista canadese, che sicuramente tra le sue doti annovera la capacità di raccontare e catturare, ma fa ancora fatica quando c’è da mantenere la medesima mano ferma per quanto riguarda gli incastri di sceneggiatura e i suoi derivati. In “Demolition: Amare E Vivere” infatti tornano prepotenti piccole forzature del suo cinema, forzature che destano perplessità se non altro per la facilità con la quale sarebbe stato possibile aggirarle o spazzarle via del tutto. Il reclamo del protagonista alla ditta dei distributori automatici è un passaggio imprescindibile, per esempio, eppure attendibile appena parzialmente nella modalità con cui viene costruito e azionato. Una cura maggiore, inserita alla base del suo lavoro, non avrebbe fatto poi così male a Vallée, diciamo. Sarebbe bastato un raccordo di livello superiore, magari, un’inezia che andasse a legare meglio la tessitura globale o che permettesse di scendere addirittura oltre la superficie dell’intimo e del dolore: aggiungendo grinta a quel grattare con le unghie di Gyllenhaal e scongiurando una freddezza che, di fatto, è presente e che in parabole come queste quasi mai è sinonimo di impeccabilità.

Detto questo, bisogna ammettere comunque che, mancanze incluse, mettersi qui a demolire “Demolition: Amare E Vivere” è un mestiere praticamente impossibile. E non solo per via della cacofonia, sia chiaro, ma perché è un film che si guarda volentierissimo, che sa tirar fuori attimi interessanti, comici e drammatici, nonché parentesi dolcissime, accompagnate dalla musica, che si fa fatica a togliere dalla mente. Sono l’esperienza e la bravura di Vallée a salvare il risultato e a fare la differenza, questo nonostante le sbavature e quella sensazione di occasione, forse, relativamente persa, per potenzialità, che a pensarci fa un po’ irritare, anche se poi passa e va bene lo stesso.
Fermo restando che elaborare un lutto alla maniera di Gyllenhaal in “Demolition: Amare E Vivere” resti qualcosa di economicamente sconsiderato, insostenibile e alla portata di pochi.

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