Un Padre, Una Figlia - La Recensione

Cristian Mungiu
Tutto il mondo è paese, si dice. E a guardare “Un Padre, Una Figlia” verrebbe da esclamare: “Come non essere d’accordo!”. Ci sono pressioni, aiutini e bustarelle a circolare infatti nella pellicola di Cristian Mungiu, nell'odissea di un padre che pur di mantenere florido il futuro della figlia - prossima a trasferirsi in Inghilterra con borsa di studio per l’università - è disposto a fare qualunque cosa per aiutarla nel momento cruciale degli esami: che inaspettatamente appaiono una formalità meno pura del solito quando un’aggressione con tentato stupro, subita dalla ragazza, rischia di distogliere e di alleggerire quella concentrazione costante e rigida che l’aveva portata ad essere tra le migliori alunne della scuola. Siamo in Romania, a Cluj, ma potremmo tranquillamente essere in Italia, non cambierebbe granché.

Per un figlio, del resto, quale genitore non sarebbe disposto a sporcarsi le mani? Chi non rifiuterebbe di mandare all'aria anni e anni di convinta onestà e correttezza? Cercando di rimediare a una disgrazia non calcolabile che, per giunta, potrebbe tranquillamente essere appioppata alla Storia di un paese nel quale vivere con la speranza di avere un futuro, ormai, somiglia quasi ad una dissennata utopia. Di questo ne è convintissimo Romeo, il padre di Elisa, che un po’ si sente in colpa perché la mattina dell’incidente, per sbrigarsi a raggiungere la sua amante, ha lasciato la figlia non esattamente vicino al cancello della scuola. Un po' ne è convinto perché con la moglie anni prima erano tornati in patria proprio per farsi coinvolgere dal respiro di cambiamento che aveva cominciato a girare, ma che, anziché migliorare le cose e sistemarle come prometteva, concedendo il lusso di guardare avanti con luminosità e prospettiva, si era risolto, infine, in un pugno di mosche, delusioni e tanti, tantissimi rimpianti. Quelli che con tutto sé stesso, poi, si è ripromesso di non far cadere su sua figlia, che puntualmente, da sempre, assilla e tiene d’occhio, programmandogli un futuro in terra straniera al quale lei, di preciso, non sa ancora se davvero ha intenzione di aderire o meno.

Cristian Mungiu FilmQuestioni morali, allora, ma anche fotografie di una società tradita dal suo paese, affranta da esso abbastanza da smettere di crederci e di investirci. In “Un Padre, Una Figlia” dunque Mungiu oltre a metterci tutti in discussione, passandoci la patata bollente del “cosa avresti fatto tu al posto del protagonista”, ci pone di fronte al sistema di una nazione che ha fatto della stretta di mano e dello scambio la sua moneta principale, dove il vedersela da soli e con le proprie forze fornisce scarse certezze e, dulcis in fundo, le aspettative di curare tali disturbi, almeno per quel che riguarda la generazione del presente, sono crollate in picchiata, infrangendosi in mille pezzi. L’unica soluzione quindi è quella di costruire il futuro altrove, di convogliare le ultime energie rimaste inseguendo questa opportunità, rischiando di far male in trasversale, ma soprattutto dimenticando che quel futuro, forse, nonostante tutto, qualche raggio di sole sporadico e incostante in quel territorio lo intravede lo stesso e, magari, crede sia anche il caso di provare ad inseguirlo.

Questo è quello che si augura Mungiu, se non altro, che (non) muovendo la camera quanto basta, e meravigliosamente, riesce ad imprimere la massima drammaticità ad una vicenda che sembra avere meno radici di quelle che promette di voler ostentare. Una vicenda nel quale riconoscersi e immedesimarsi non è poi così complicato, nella quale si resta imprigionati e implicati a fondo. E questo sia che ci si trovi dalla parte dei padri (o delle madri), sia che ci si trovi da quella dei figli.

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