Blair Witch - La Recensione

Blair Witch Poster
Di acqua sotto i ponti ne è passata dal primo “The Blair Witch Project”. Dello scalpore di un horror girato in found-footage, che all'epoca pareva affacciarsi come la quintessenza dello spavento, non a caso, oggi, è rimasto poco o niente; la stanchezza, magari, quella generata da repliche su repliche di uno stile che oramai ha finito di sorprendere consumandosi, forse, più velocemente di quello che voleva andare a sostituire.

Questo solo per dire che sentir parlare della Strega di Blair negli anni duemila inoltrati è nettamente diverso da quando se ne sentiva parlare nei duemila alle porte, sono passati appena sedici anni, ma cinematograficamente è come un secolo: per cui se si ha intenzione di esibirsi e di riproporre lo stesso trucco, o nel cilindro si ha un animale diverso dal coniglio e la colomba, oppure si rischia davvero di ricevere applausi di circostanza se non addirittura fischi (a discrezione del pubblico). Due conti questi che, evidentemente, però nella testa del regista Adam Wingard e in quella dello sceneggiatore Simon Barrett sono venuti completamente a mancare, a giudicare dal lavoro povero e scarno compiuto attorno a quello che sarebbe dovuto essere il sequel sanguigno della pellicola originale diretta da Daniel Myrick nel 1999. C’è il fratello della Heather Donahue di quel film infatti al centro di questa nuova storia, le ricerche che su YouTube gli mostrano un filmato inquietante, girato sul luogo del misfatto, in cui si intravede il corpo di qualcuno che, secondo lui, potrebbe essere la sorella, e la sua amica aspirante documentarista, armata di reflex Canon e altri ritrovati della tecnologia moderna (drone, microcamere da orecchio, ecc.), che ha intenzione di incoraggiarlo girando un documentario sui motivi che spingono il ragazzo a continuare a sperare, credendo che a distanza di anni nulla sia ancora perduto.
E sono proprio le immagini registrate tramite i suoi dispositivi quelle che vengono trasmesse sullo schermo, i girati recuperati sul posto, montati da chissà chi, che ci mostrano, oltre all'esito scontato della spedizione, la presenza anche di altri due loro amici presenti sul posto e di un’altra coppia di sconosciuti, con villa vicino al bosco, che ha insistito molto per unirsi all'avventura e provare da vicino il brivido della leggenda.

Blair Witch Callie HernandezTuttavia di brividi e paura “Blair Witch” ne fa venir ben pochi, gli riesce meglio, casomai, il compito di annoiare lo spettatore, mettendolo di fronte ad uno spettacolo statico, povero di idee e contenuti, ispirato nelle atmosfere e nello stile al titolo di riferimento, ma nella forma e nelle idee ai più recenti horror low budget capitanati da “Paranormal Activity”. I suoi protagonisti, a ripetizione, gridano, piangono, agiscono in modo completamente discutibile (con la gamba perforata e il piede tagliato una ragazza si arrampica su un albero per recuperare il drone), sempre e solo al servizio di una storia che cerca nell'effetto audio e nella ripresa frenetica la furbizia per disorientare lo spettatore e coglierlo di sorpresa. Il pacchetto completo, gestito alla peggio, degli stereotipi e dei trucchetti che andrebbero evitati ogni qual volta ci si misura con operazioni di questo tipo, praticamente, un esercizio di stile fastidioso e non incisivo, da evitare assolutamente se il tentativo dovrebbe essere quello nobile di portare a casa un lavoro rispettabile e soddisfacente.

Tra gli applausi di circostanza e i fischi, quindi, a “Blair Witch” sarebbe più facile ipotizzare spettino i secondi, considerato il tentativo fallito di ridar vita a qualcosa che già all'epoca aveva brillato più per marketing che per concreto valore e che, inevitabilmente, adesso, giunta al massimo della sua saturazione già da anni, senza contenuti dimostra di non aver alcuna ragione di esistere.
A meno che - ma qui avrebbe dovuto arrivarci uno dei due tra Wingard e Barrett - l’atto finale della pellicola non fosse stato spostato nel mezzo, con la seconda parte interamente riscritta da capo a piedi prendendo spunto da un altro lavoro recente come il “Rec” di Jaume Balagueró e Paco Plaza, che probabilmente, insieme a "Cloverfield", resta solidamente una delle migliori operazioni  found-footage portate al cinema.

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