Non si tratta dell'affidamento di un progetto pronto, alla ricerca di qualcuno da mettere dietro la macchina da presa, no, "La Tartaruga Rossa" è un lavoro che De Wit e lo Studio Ghibli hanno praticamente partorito insieme, distribuendosi con enorme fiducia e appoggio i rischi e le scommesse che comportava. Perché se è vero che si affida all'archetipo dell'uomo naufragato su un isola deserta, che richiama alla memoria Robinson Crusoe, piuttosto che il Tom Hanks di "Cast Away", è altrettanto vero che lo svolgimento della pellicola è alquanto ostico e paradossale, con un'assenza di dialoghi e un'animazione rétro, minimale e color pastello, che fanno di tutto per allontanare l'opera dall'immaginario recente e popolare. Inizialmente allora l'approccio alla storia è un tantino enigmatico: con il protagonista alle prese con l'adattamento alla natura e la progettazione di una fuga che possa riportarlo nella civiltà da cui proveniva in cui era radicato. Un obiettivo che pare non vada benissimo alla tartaruga rossa, gigantesca, che si nasconde nelle acque che lui vorrebbe attraversare, la quale, metodicamente, distrugge ogni sua zattera, impedendogli la partenza verso quel viaggio, salvifico, della fatidica speranza. Questo fino a quando, giunta sulla spiaggia, la tartaruga deve fare i conti con la vendetta dell'uomo che, immobilizzandola, rischia di farla passare a miglior vita, salvo poi sentirsi in colpa e rimediare alla meglio.

C'è un messaggio filosofico studiato per essere limpido e diretto al momento giusto, evidentemente, nella testa dei due artefici, un'ode alla natura e al rapporto che quest'ultima ha con l'uomo e viceversa, da mantenere forzatamente vago e confuso per evitare di smontare l'esplosione di una poesia che altrimenti si sarebbe risolta troppo presto, indebolendosi lei e indebolendo la linearità e la semplicità della messa in scena generale, nella quale, ci rendiamo conto, qualsiasi sovrastruttura di adorno, forse, sarebbe stata d'intralcio.
Del resto gli serviva essere stretti e concisi a De Witt e allo Studio Ghibli, che in ottanta minuti dicono quello che volevano dire, con la consueta bravura e quel fascino visivo un po' dimenticato, che perfettamente è in linea con la tematica e con il gusto estetico di entrambi. Mano nella mano realizzano, così, un'opera che non sarà sicuramente tra le migliori da loro prodotte, ma che sa farsi rispettare, sa intiepidire ed incontrare il gusto dei maggiori appassionati.
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