La Tartaruga Rossa - La Recensione

Vincitore del premio Oscar nel 2001, con il cortometraggio d'animazione "Father & Daughter", al regista olandese Michael Dudok De Wit è successa una di quelle fortune che nella vita capitano a una persona su un milione: i vertici dello Studio Ghibli, apprezzando molto il suo lavoro, gli hanno proposto una co-produzione con un lungometraggio che, ovviamente, il diretto interessato ha accettato di buon grado, senza pensarci due volte.

Non si tratta dell'affidamento di un progetto pronto, alla ricerca di qualcuno da mettere dietro la macchina da presa, no, "La Tartaruga Rossa" è un lavoro che De Wit e lo Studio Ghibli hanno praticamente partorito insieme, distribuendosi con enorme fiducia e appoggio i rischi e le scommesse che comportava. Perché se è vero che si affida all'archetipo dell'uomo naufragato su un isola deserta, che richiama alla memoria Robinson Crusoe, piuttosto che il Tom Hanks di "Cast Away", è altrettanto vero che lo svolgimento della pellicola è alquanto ostico e paradossale, con un'assenza di dialoghi e un'animazione rétro, minimale e color pastello, che fanno di tutto per allontanare l'opera dall'immaginario recente e popolare. Inizialmente allora l'approccio alla storia è un tantino enigmatico: con il protagonista alle prese con l'adattamento alla natura e la progettazione di una fuga che possa riportarlo nella civiltà da cui proveniva in cui era radicato. Un obiettivo che pare non vada benissimo alla tartaruga rossa, gigantesca, che si nasconde nelle acque che lui vorrebbe attraversare, la quale, metodicamente, distrugge ogni sua zattera, impedendogli la partenza verso quel viaggio, salvifico, della fatidica speranza. Questo fino a quando, giunta sulla spiaggia, la tartaruga deve fare i conti con la vendetta dell'uomo che, immobilizzandola, rischia di farla passare a miglior vita, salvo poi sentirsi in colpa e rimediare alla meglio.

De Wit Studio GhibliSenza svelare troppo, ora, di ciò che succederà (anche se, forse, nel trailer potrebbe essere stato inserito), bisogna dire che per una grossissima porzione di sé, "La Tartaruga Rossa", da l'impressione di essere unicamente un grande esercizio di stile spartito in parti uguali tra lo Studio Ghibili e il De Wit style. Presentimento che, man mano, va a rinforzarsi e a ricevere sempre più certezze, smontandosi in mille pezzi, all'improvviso, con un colpo di scena inserito in chiusura che tende a rimescolare tutte le carte e a far rivalutare quanto fruito.
C'è un messaggio filosofico studiato per essere limpido e diretto al momento giusto, evidentemente, nella testa dei due artefici, un'ode alla natura e al rapporto che quest'ultima ha con l'uomo e viceversa, da mantenere forzatamente vago e confuso per evitare di smontare l'esplosione di una poesia che altrimenti si sarebbe risolta troppo presto, indebolendosi lei e indebolendo la linearità e la semplicità della messa in scena generale, nella quale, ci rendiamo conto, qualsiasi sovrastruttura di adorno, forse, sarebbe stata d'intralcio.

Del resto gli serviva essere stretti e concisi a De Witt e allo Studio Ghibli, che in ottanta minuti dicono quello che volevano dire, con la consueta bravura e quel fascino visivo un po' dimenticato, che perfettamente è in linea con la tematica e con il gusto estetico di entrambi. Mano nella mano realizzano, così, un'opera che non sarà sicuramente tra le migliori da loro prodotte, ma che sa farsi rispettare, sa intiepidire ed incontrare il gusto dei maggiori appassionati.

Trailer:

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