Manchester By The Sea - La Recensione

Casey Affleck Kenneth Lonergan
Casey Affleck lavora come uomo tuttofare per un condominio, vive a Boston e ogni tanto si lascia scappare a qualche birra e qualche rissa, affranto da qualcosa che ha vissuto e da cui, forse, è fuggito. Lui è di Manchester, infatti, ma non quella del Regno Unito, l'altra meno nota, la città americana del New Hampshire, dove torna quando il fratello, colpito da un attacco di cuore, muore poche ore dopo, impedendogli persino l'ultimo saluto. Gli lascia l'affidamento del figlio sedicenne, tuttavia, una notizia che lo spiazza non poco, vista la sua incapacità comunicativa e il suo passato tutt'altro che promettente.

Di lucchetti da forzare ne nasconde vari, in fondo a quelle acque dove spesso naviga e in cui si rifugia, "Manchester By The Sea": alcuni giganteschi, altri notevoli, il resto conformi. Il regista e sceneggiatore Kenneth Lonergan ha programmato di schiuderli secondo un programma ben preciso, applicato su una narrazione che, senza mettere troppi puntini sulle i, fa avanti e indietro temporalmente rivelando, come fosse un'unica linea, ciò che è accaduto e ciò che sta accadendo. Ci sono due vite infatti da chiarire, ed entrambe sono essenziali per capire se da queste riuscirà a venirne fuori una terza, con il personaggio di Affleck stavolta posizionato né su un estremo, né sull'altro, ma, magari, possibilmente al centro, o comunque da quelle parti. Perché il suo è un viaggio che ricorda lontanamente quello che fece Orlando Bloom in "Elizabethtown", quando all'apice della depressione e a un passo dalla fine, fu costretto a tornare all'ovile sempre per via di un funerale (li era il padre, non il fratello), capitato come un fulmine a ciel sereno o come una manna dal cielo: con l'aggravante, però, che i sospesi da risolvere e le ferite da cicatrizzare, in questo caso, portano proporzioni ben più grandi, tragici e di non facile maneggevolezza. Passato e presente, allora, vanno a sbattere, calpestandosi tra loro per capire se la nascita di un futuro è ancora possibile, se quel trauma insuperato e coltivato in corpo, con l'ausilio di una responsabilità paterna (e fraterna) e di una prospettiva nuova di vita può augurarsi di guarire e di voltare pagina.

Manchester By The SeaCasey Affleck è meraviglioso nel farsi impossessare da questo uomo mancato al suicidio per una pura casualità, incapace di ritrovare le forze per riprovarci e fin troppo debole per reagire e rialzare la testa. Il suo rapporto con il nipote è, probabilmente, l'aspetto migliore della pellicola di Lonergan: pieno di attriti, di difficoltà, di litigi, ma contemporaneamente ostentato con mezze risposte e sorrisetti promettenti, nei quali intercettare i segnali di una convivenza difficile, ma rodabile, funzionabile anche se non nell'immediato. Quell'alchimia e quelle emozioni che vengono a mancare, purtroppo, quando "Manchester By The Sea" deve alimentare l'altra parte di sé, quella più larga, relativa alla vita, ai dolori, ai fantasmi che si ripresentano per spaventare ancora e alla forza richiesta all'essere umano per esorcizzarli senza finire nell'angolo. Ecco, in questa fase il regista perde un tantino confidenza con quel suo tratto leggero e incisivo, sblocca quei lucchetti che tutti stavamo aspettando, deludendo non tanto per ciò che nascondevano, quanto per la modalità con cui il mistero viene svelato: incapace di restituire quella scossa che lo spettatore attendeva ed era preparato a ricevere.

Da l'idea di aver girato troppo con la testa e poco con il cuore, insomma, Lonergan, di non essere entrato abbastanza dentro quelle cicatrici, o ferite, che almeno per quel che riguarda la scrittura, il suo film dimostra di aver assorbito e tenuto nel profondo. Un profondo che, nonostante l'ambientazione, è destinato a rimanere tale, sotterrato, decifrabile anche da noi meccanicamente con l'utilizzo della testa, sebbene avremmo preferito di gran lunga farlo passionalmente, con il cuore.

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