Noces - La Recensione

Stephan Streker
Per esperienza, i film sui matrimoni combinati deludono raramente. Hanno fascino. Il fascino di una cultura, il più delle volte condizionata dalla religione (o dalle tradizioni), che tra regole e paletti, anziché salvare, complica le vite, accendendo conflitti che con un minimo di apertura mentale sarebbero risolvibili con uno schiocco di dita.

In "Noces", per esempio, c'è la maggiorenne pakistana, Zahira, che non vuole saperne di scegliersi un marito che non ama. La famiglia la pressa, ricordandogli che nella loro cultura sarebbe una vergogna ribellarsi a tale tradizione, che vivere in Belgio e non in Pakistan non la svincola dalle regole ferree che tutti finora hanno seguito, e che l'incidente di esser rimasta incinta, che loro credono rientrato con un aborto, deve rimanere l'ultima sbandata con cui sporcare il nome della sua dinastia. Il problema, se così lo possiamo chiamare, è che la ragazza ragiona con il cuore, con la cosiddetta pancia, quella che gli ha suggerito di fermare l'interruzione della gravidanza, perché dentro di lei sentiva che a crescere ci fosse un essere umano, e poco importa se non ancora formato e privo di anima. Un'attitudine sviluppata, probabilmente, tramite la contaminazione europea in cui si è trovata a crescere, nella quale ha ampliato le vedute ristrette impartite dai suoi genitori e con la quale ha deciso di tirare le somme mettendosi contro a delle imposizioni che dall'alto della sua intelligenza e maturità giudica ingiuste e esagerate. Un comportamento che padre e madre non accettano e scelgono in ogni maniera di arginare, con la violenza, le minacce, e l'aiuto dei figli - un maschio (grande) e due femmine (una più grande del maschio e l'altra più piccola di tutti) - a cui chiedono di impersonare il ruolo del poliziotto buono e ragionevole, mentre loro si lasciano sfuggire ad alzate di gomito e intimidazioni di morte, utili a salvare nel caso più estremo la dignità di una famiglia altrimenti condannata in eterno.

Stephan StrekerAl contrario di quanto accaduto a sua sorella maggiore, che era come lei, ma poi si è decisa ad ammorbidirsi, però, Zahira è ferma sulla posizione scomodissima di dichiarare guerra alla sua famiglia. Di non chinare la testa, di rinunciare persino al letto di casa, pur di non sottostare a ciò che lei non condivide (non gli importa nemmeno del problema di cuore del padre). Così, quella diretta da Stephan Streker - che tra l'altro è una storia basata su eventi realmente accaduti - assume i connotati di una pellicola, dal destino prevedibile, che non punta il dito contro una persona o più di una, ma piuttosto verso un credo (o più di uno) che spesso costringe stupidamente a vedere le cose in una maniera, o troppo bianca o troppo nera: tendenza che, forse, ormai, sarebbe arrivato il momento di invertire o di modificare trasversalmente. La falla, infatti, "Noces" ce la mette davanti agli occhi in una scena splendida e specifica, dove il padre della migliore amica di Zahira, si reca nel negozio del padre della ragazza per provare a farlo ragionare e ad accettare la presa di posizione della figlia, ma ciò che riesce a ricavare è solamente un'accusa di stare al suo posto, giustificata dal fatto che, come un pakistano non mette bocca se da loro, ad alcune donne, si permette di restare nubili, e quindi infelici, nessun altro deve permettersi di dire a un pakistano di non maritare sua figlia, dirigendola verso la felicità. Chiusura che va praticamente a mettere in discussione quella famosa iniziativa di scambio e di arricchimento tra paesi e razze, alzando una barriera, magari più lunga e impenetrabile di quelle che sono state abbattute in passato e si sta cercando di non ricostruire in futuro.

Anche perché se è impossibile mediare, adattarsi a nuove realtà e catturarne, curiosi, lati positivi e negativi, prendendo nota, tanto vale evitare di muoversi dalle proprie radici e rischiare di mettersi da soli i bastoni in mezzo alle ruote. Che poi il pericolo successivo è quello di fare frontali piuttosto gravi che, volontari o meno, forse eviteranno di macchiare famiglie o dinastie, ma non di rovinare esistenze e creare sensi di colpa raramente sostenibili.
Un dibattito che solo per il merito di suscitarlo e di provocarlo, basterebbe a Streker per stare apposto con la coscienza: sebbene non contento, il regista, riesca in contemporanea, a firmare un lavoro tecnicamente liscio, solido nella messa in scena, che a lunghi tratti sa emozionare e scaldare, prima di colpire forte lo spettatore con un gancio sullo stomaco, secco abbastanza, per stenderlo tramortito e senza parole.

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