Train To Busan - La Recensione

Sang-ho Yeon
Non gli manca nulla a "Train To Busan" per affacciarsi come ottimo horror di genere. Di quelli capaci a rispettare i doveri impartiti dal codice, che sanno come scaldare il pubblico, come agguantarlo, entusiasmandolo e facendolo saltare dalla poltrona.

Ambienta la sua storia all'interno di un treno, infatti, il regista Sang-ho Yeon, un treno preso da un padre per accontentare il desiderio di compleanno della piccola figlia, che vorrebbe raggiungere la propria madre, che vede a malapena, residente a Busan da dopo il divorzio. Niente di più agevole, se non fosse che un virus è stato appena rilasciato nell'aria e ha cominciato ad infettare persone a catena, rendendole delle specie di zombie dalla rabbia spropositata e dal morso facile, e che una di queste sia riuscita a salire a bordo del treno nell'esatto momento della sua partenza. Un canovaccio, se vogliamo, neppure eccessivamente originale che Sang-ho però sa stendere con grande maestria, attraverso personaggi che vengono fuori un po' a sorpresa - agganciandosi al bisogno di sopravvivenza dei due protagonisti - e a colpi di scena a ripetizione che non permettono mai di tirare il fiato e di mollare l'attenzione e la tensione. Perché, se e come, si arriverà al fatidico capolinea "Train To Busan" non ce lo lascia assolutamente intendere, anzi, fa deviazioni su deviazioni, mettendo a repentaglio sia la destinazione del suo percorso, sia quella del genere umano. Quanto sia grave e, soprattutto, quanto sia diffusa l'Apocalisse, ai malcapitati della sua pellicola, del resto, è possibile scoprirlo solo in corsa, affidandosi a telefonate o a internet - laddove la linea non è interrotta - e ai monitor presenti sul mezzo su cui sono incastrati che tutto sembrano inviare fuorché buone notizie.

Sang-ho YeonUn divertimento puro, adrenalinico e spettacolare che sottopelle nasconde, tatuato, un messaggio sociale da cui non si stacca mai e a cui Sang-ho tiene particolarmente. Se per George A. Romero, alla fine degli anni '70, gli zombie rappresentavano una denuncia metaforica al consumismo, per il regista sud coreano, adesso, nei duemila inoltrati, potrebbero incarnare, allora, i danni provocati dall'egoismo sempre più diffuso dell'uomo. Un egoismo, ormai, consolidato e dilatato, sotto il quale, in prospettiva, si può rimanere unicamente vittime e, a lungo andare, anche soccombere. Ne sanno qualcosa i passeggeri con cui ha a che fare il protagonista, sebbene lui stesso, da gestore di fondi, e quindi da sanguisuga consapevole, debba imparare la generosità dalle parole e dai rimproveri della figlia per fare squadra con gli altri "buoni" e indossare, finalmente, quei panni da genitore che ha mancato per troppo tempo.
Una lezione di unione, di forza, di amore per il prossimo che "Train To Busan" non smette mai di impartire, servendosi di alcune scelte narrative forti, severe e punitive, utili a rafforzare quell'allarme nobile di cui si fa portatore, nonostante una forma d'intrattenimento altissima e irresistibile poggiata ai piani superiori.

Ce le canta Sang-ho, ed è davvero il caso di dirlo, ci sgrida e ci mette, forse, allo specchio conservandoci comunque una minuscola possibilità di procedere e di proliferare che, tuttavia, resta appesa ad un filo (tutto femminile) da non sottovalutare. Così come da non sottovalutare potrebbero essere le sorti del suo film nel lungo periodo, che ha tutte le carte in regola per diventare un vero cult, di cui ricordarsi e discutere nel tempo.

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