Il Cittadino Illustre - La Recensione

Il Cittadino Illustre
Daniel Mantovani è uno scrittore argentino fresco fresco di Premio Nobel, onorificenza che accetta attraverso un discorso piuttosto cinico e polemico (pare sia un dovere di questi tempi), ripagato dai presenti con applausi ostentati e di circostanza. Come gli hanno detto i suoi colleghi infatti quando vinci quel premio diventi una statua, una metafora che lo scrittore decide di incarnare totalmente, mettendo fine alla sua carriera e ritirandosi nella residenza di Barcellona a respingere (per anni) qualunque genere di proposta mediatica che lo vorrebbe omaggiare come personaggio di spicco. Solo l’invito con tanto di premiazione da parte del Sindaco di Salas riesce a fargli cambiare idea, quel paese di origine che non vede da quarant’anni e in cui ha ambientato le storie di ogni suo romanzo.

Un ritorno al passato, un ritorno da vincente, un ritorno da idolo. Racconta questo la pellicola diretta da Gastón Duprat e Mariano Cohn, in un contesto però assai povero e trasandato di un paesino diventato per il protagonista più piccolo e stretto di quanto non lo fosse quando lo aveva lasciato da giovane. L’impatto avvertito dopo gli anni di distanza da lui passati in Europa allora è quello netto e spiacevole di una mentalità invariata ed ipocrita, di gente che per strada ti segue riprendendoti con il cellulare, che ti ferma, magari, con la scusa di un tuo romanzo per invitarti a pranzo a casa pur non avendoti mai conosciuto, o che non ha problemi ad insultarti o a minacciarti se, di fronte a pretese eccessive, hai il coraggio di rispondergli per le rime. Quello che doveva essere un viaggio romantico, felice e intimo si trasforma presto perciò in un incubo ansiogeno da cui doversi guardare le spalle e difendersi, stando accorto ad ogni angolo della strada, tra ammiratori pronti a passare dalla parte degli haters ed amici o vecchie conoscenze da maneggiare coi guanti. Un canovaccio intelligente, che permette a “Il Cittadino Illustre” di alternare, così, attimi di drammaticità schietta ed efficace a parentesi esilaranti e assurde in cui la risata nasce spontanea e sincera, senza esagerare mai in nessun frangente, da ambo le parti, e mantenendo quella saldezza indispensabile per far si che la sua dose autorevole di curiosità e trazione non si disperda nell’aria.

Eppure c’è dell’altro.
Il Cittadino Illustre Oscar MartinezGià, perché sebbene per come narrano Duprat e Cohn sarebbe sufficiente questa parabola a fare del loro lavoro qualcosa di pregevole, delizioso e godibile, tutto il discorso che i due imbastiscono nella seconda parte, sulla cultura e l’ignoranza e sulla realtà e la finzione, non può che andare ad aumentare le dimensioni dello stesso, comprese le ambizioni. Stilano una teoria affascinante, priva di sfumature, secondo la quale esistono caratteristiche evidenti con le quali poter distinguere il grado di sviluppo di una società, i due registi, inserendola all’interno di un monologo roboante e arrogante, valorizzato magistralmente da un Oscar Martinez irresistibilmente straordinario. Momento altissimo della pellicola che trova replica, pochi minuti più avanti, nel botta e risposta finale, sardonico e lucidissimo, tra Daniel e un giornalista presente alla conferenza stampa del suo nuovo libro: dove, rispondendo a una domanda, lo scrittore scherza sulle origini di una sua cicatrice, rimescolando nuovamente e inaspettatamente le certezze di noi spettatori che non sappiamo più, da un secondo all'altro, se la storia in cinque capitoli a cui abbiamo appena assistito è da considerarsi veritiera o frutto di una fervida immaginazione.

Un cruccio che, tuttavia, è destinato a durare meno della sua elaborazione, che davanti alla compiutezza sorprendente dell’opera - come dice Daniel - non ha alcuna importanza, perché per quanto cercheremo ogni volta di scavare a fondo - ci dice “Il Cittadino Illustre” - esisteranno sempre (almeno) due diverse letture da cui poter attingere, due diverse facce della medaglia da poter girare e rigirare a nostro piacimento, tutte a loro modo più o meno avvincenti e tutte a loro modo più o meno esaltanti.
Che rappresentano un po’ il bello ed il sublime sia della letteratura che del cinema.

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