The Wailing - La Recensione

The Wailing poster
In un piccolo villaggio della Corea Del Sud cominciano ad avere luogo feroci omicidi accomunati tra loro da scene del crimine molto simili, in cui quasi sempre c'è un superstite - che poi è l’assassino - trovato in stato non cosciente e dall’aria intontita, come se avesse fatto uso pesante di sostanze stupefacenti. A indagare sulla connessione tra i casi, un poliziotto impacciato e un po’ spaventato, ritardatario per definizione e convinto insieme al suo collega che a centrare qualcosa coi recenti e terrificanti fatti possa essere lo straniero giapponese che vive tra le montagne: rinomato per il suo atteggiamento assai silenzioso e trasferitosi da poco su quelle terre. Un sospetto che, per quanto campato per aria, sembra restituire un valido riscontro da parte di una misteriosa donna vestita di bianco, ennesimo elemento da tenere d’occhio per quella che appare come un indagine molto più articolata ed enigmatica del previsto.

Ad un primo impatto, il nuovo film del regista sud-coreano Na Hong-jin, dà l’idea di voler proseguire sulla falsa riga dei precedenti “Chaser” e “The Yellow Sea”, ovvero come un thriller intenso e di grande spessore, pieno di capovolgimenti di fronte e di colpi di scena. Non te l’aspetti, perciò, mentre sei lì a seguire gli avvenimenti, che all’improvviso il surreale faccia capolino senza bussare alla porta, stravolgendo completamente ogni prospettiva e deduzione e portando “The Wailing” ad un livello superiore di complessità che lo fa calare nelle acque dell’horror più puro ed elegante, bagnandolo fin sopra i capelli. Un gioco di prestigio che giova alla pellicola tanto quanto al suo regista, che può permettersi di scalare registro a piacimento, addentrandosi nei meandri del poliziesco più o meno classico per spostarsi, poi, su quelle derive maggiormente misteriose ed oscure popolate da fantasmi, diavoli, zombie, possessioni, esorcismi e sciamani. Una coperta larghissima, tortuosa da dover stendere, che fortunatamente, però, non soffre di mala gestione, ma anzi viene adagiata coi giusti tempi e le giuste accortezze, favorendo il crescendo di una storia che ad ogni sequenza rischia di cambiare pelle e di smontare ogni avanzamento partorito da parte nostra.

The Wailing FilmNonostante alzi di parecchio l’asticella non perde un minimo di concentrazione, quindi, Na Hong-jin, il quale procede con mano sicura, organizzata, attento a dosare tensione e ambiguità e a spaccarle, a volte, se serve, con attimi di ironia assurda che non stonano mai con l’evoluzione della trama. Dà la prova definitiva di essere un regista abile ed esperto, così come abile ed esperto è nello sceneggiare e nell'architettare twist incalcolabili con cui andare a sovrascrivere quelli calcolati impiegati per ingannare sulle eventuali risoluzioni e sulla morale dei personaggi: quest’ultima chiave di volta fondamentale, in più di un occasione.
Del resto in “The Wailing” tutto gira attorno alla regola del fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio, del tenere sempre a portata di mano il proprio istinto, le sensazioni primarie, l’evidenza: perché se è vero che, spesso, l’abito non fa il Monaco, è altrettanto vero che il Monaco, prima o poi, quell’abito dovrà vestirlo.

Un concetto semplice come complesso, specie se da applicare ad una realtà sopra le righe piena di sangue, tenebre e vite in pericolo come quella che Na Hong-jin mette in scena e alimenta. In quello che è un film in grado di incollare alla poltrona per tutte le due ore e mezza abbondanti che lo compongono, e che non ha nessun problema a superare i limiti del politicamente corretto così come a spiazzare lo spettatore.

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