E’ Solo La Fine Del Mondo - La Recensione

E’ Solo La Fine Del Mondo Dolan
I primi piani.
I primi piani - che poi son più primissimi - sono la forza della natura che più risalta in "E’ Solo La Fine Del Mondo": inquadrature perfette, ben fotografate, da cui si resta sedotti e ammaliati. Una scelta registica che premia generosamente Xavier Dolan, il quale conscio forse della debolezza del suo script, opta per rimanere incollato maggiormente possibile ai volti dei suoi protagonisti, concentrando la poca tensione a disposizione in una piccola porzione di schermo, sperando ciò possa bastare a mascherare quel grande vuoto posto al di là delle loro dolorose e non spontanee (ma convincenti) interpretazioni.

Un paradosso, se pensiamo che a gravare negativamente nella nuova opera del talentino canadese siano, in qualche modo, ancora una volta i primi piani. Quelli tematici, però, stavolta: riproposti, qui, in una variante poco lucida e brillante, al punto tale da apparire quantomai monotoni e inconsistenti. C'è sempre una madre ingombrante allora a infastidire i componenti di una famiglia scoppiata e sull'orlo di una crisi di nervi, riunita all'improvviso dopo la notizia della visita di uno dei figli - quello omosessuale - rimasto lontano da casa per dodici anni, ma ora, come d'incanto, riapparso dal nulla per rientrare in contatto con coloro da cui, pare, aveva fatto di tutto per tagliare i ponti. La motivazione è un messaggio importante da comunicare, un messaggio sconvolgente, rivelato immediatamente a noi pubblico, senza mezzi termini, ma trattenuto più del previsto alla loro attenzione: e non tanto per via della delicatezza dello stesso, quanto per le ripetitive litigate, insulti e ferite aperte che gli impediscono di trovare lo spazio e il momento adatto per accendere la miccia gigante e comunicare ciò che davvero potrebbe equivalere all'esplosione di una bomba. In quello che, suo malgrado, è un clima, più che da pranzo in famiglia, da vera e propria resa dei conti a lui dedicata e non solo.

Gaspard Ulliel E’ Solo La Fine Del MondoLa parola d'ordine è litigare, quindi, rinfacciarsi gratuitamente ciò che è rimasto strozzato in gola e farlo attingendo a qualunque pretesto ammissibile: che sia una frase, una parola, un verso, non importa, perché Dolan cerca il contrasto e il dolore non per esprimere qualcosa, ma per mettere una toppa e camuffare un vestito che ha indossato fin troppe volte, consumandolo. A testimoniarlo dialoghi e scene in cui raramente vengono condivise informazioni, o rifinito e ampliato lo spessore dei protagonisti; ad emergere è più che altro la distanza che c'è tra loro, la non conoscenza, in certi casi, e la formazione di fratture, forse insanabili, forse perdonate, ma nelle quali non si entra mai per davvero, neppure metaforicamente: perdendosi in lungaggini inutili, fuori tono, che danno l'impressione di dover creare minutaggio piuttosto che servire realmente ai fini della narrazione (la scena del balletto sulla musica di Dragostea Din Tei è un esempio palese).
A restare appeso, dunque, anche il protagonista refrattario agli urli (in realtà anche Marion Corillard è refrattaria ad essi, ma essendo cognata qui conta meno) interpretato da Gaspard Ulliel, il quale della sua decisione, al massimo, parla vagamente con una persona al cellulare - come se questa dovesse esser complice o chissà cosa - ma non mette mai nero su bianco i motivi e i fattori che lo hanno portato a decidere proprio adesso di compiere quel determinato passo. Contribuendo a lasciare in stato fumoso qualsiasi campo d'azione il film abbia voluto ostentare o dichiarare.

Si fosse chiamato "J'ai Tué Ma Famille, modificando chiaramente una parte della pièce teatrale da cui è tratto, datata 1990 e scritta dal francese Jean-Luc Lagarce, probabilmente, "E’ Solo La Fine Del Mondo" l'avremmo capito meglio e, magari, pure apprezzato. Poteva agganciarsi bene a "J'ai Tué Ma Mère", opera prima di Dolan, con cui sarebbe andato a legarsi, chiudendo un cerchio oggi più che mai saturo e ossessivo.
Scherzi a parte, tuttavia, bisogna ammettere che messa così, a livello gratuito, di questa famiglia insopportabile da cui tornare, dopo anni e anni di rapporti comprensibilmente interrotti, a noi finisce per importare meno del giusto. In quello che, se non avesse al suo interno alcuni vezzi tipici del suo autore e una regia che studieremmo volentieri purché a volume disattivato, somiglia molto a uno dei drammi targati Gabriele Muccino che spesso, e sempre gratuitamente, tendiamo, a giudicar male.
E questo tanto per rinforzare quella vecchia questione sui primi piani.

Trailer:

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