Paterson - La Recensione

Paterson Jarmusch
Ci sono film che vivono di atmosfere, di minuscoli gesti o condizioni che spaccano la finzione e ti catturano proprio per quel vivido rapporto che hanno con il reale e con l’esistenza. “Paterson” è uno di questi.

Un film in cui ad essere protagonista è la routine, il ciclico cammino giornaliero, solitamente noioso, da cui nessuno, più o meno, scampa. Per Adam Driver ciò rappresenta un risveglio alle sei inoltrate del mattino, colazione veloce e camminata a piedi sul posto di lavoro, dove, prima di mettersi alla guida del suo autobus, si concede sempre alla scrittura di qualche poesia spontanea da annotare su un taccuino segreto. Terminato il turno, poi, rientro a casa tra le braccia di una moglie bellissima ma costantemente preda di entusiasmi che la rendono incostante nei progetti, cenetta a due con lei e passeggiatina notturna con un bulldog inglese da lui non particolarmente amato, con destinazione ultima nel pub della zona, per una birra e due chiacchiere da scambiare col barman sulle glorie della città di Paterson e del New Jersey. Un flusso grossomodo regolare e insieme colmo di variazioni, fatto di strade che si ripetono, colleghi monotoni nel decantare i loro problemi, tracciati regolari; ma anche di pensieri che cambiano con la stessa frequenza dei passeggeri trasportati e del loro vociferare, fatto di discorsi intavolati tra una fermata e l’altra, che possono oscillare dall’anarchia Storica di Gaetano Bresci - preso come simbolo da una coppia di ragazzi - al discutibile gossip di due impiegati sulle loro conquiste femminili e il mutamento della donna ai giorni nostri.
Superficialità apparentemente di poco conto, che lì per lì potrebbero persino lasciare il tempo che trovano, ma sufficienti a creare quel moto circolare, perpetuo, che serve al regista Jim Jarmusch per mettere le ali alla sua particolarissima idea cinematografica, la quale non prevede né azione, né dramma, ma la spremuta massima dell’essenza ordinaria e il consecutivo ricavo di quella poesia pura con cui va a creare un letto morbido e comodo, nel quale chiede a noi spettatori di rilassarci e farci dondolare, trasportati dalla semplice leggerezza di ciò che per lui è la rappresentazione più fedele e densa della vita e di ciò che ne fa parte.

Paterson Adam DriverVale la pena assecondarlo allora Jarmusch, vale la pena cedere alla sua sensibilità e assaporare quello scorrere del tempo che - come scrive anche Driver - può essere considerato come una terza, quarta o quinta dimensione, a seconda del punto di vista con cui ci mettiamo a osservarlo. Un tempo che in "Paterson" sembra essere fin troppo fedele a quello che conosciamo: col suo defluire lento eppure veloce, imperterrito, immune ad ogni variabile tranne che a quella umana, da cui si fa plasmare e modificare pur mantenendo costante la sua andatura. E ' dentro di lui infatti che si muove la vita, quella vita che nulla centra col dramma intenso o con l'azione scalmanata da cinema; quella vita a cui può bastare anche un semplice silenzio per nutrirsi, o un leggero ritardo al risveglio, o la piccola gioia di uscire un sabato sera a cena fuori, così come lo shock di una dimenticanza che pensi possa ridefinire completamente le tue prospettive.
Quella vita, insomma, costituita da tanti giorni solo apparentemente identici e che, proprio per questo, come loro, ci da la sensazione di sorgere e tramontare costantemente: trattandoci male, bene, umiliandoci, se serve, ma concedendoci il lusso di ricominciare da zero, o di nuovo, ad ogni istante e più decisi e convinti di prima.

Semplicità, suggestioni e bellezza in cui è racchiuso un po' il segreto che rende lo sguardo di Jarmusch speciale e in grado di afferrare l'anima preziosa e sfuggente del nostro essere. Con quel fare poetico che inevitabilmente ritorna, radicato nella cultura, nei dettagli, nelle mura e nella Storia della città di Paterson, in cui, a dirla tutta, torneremmo volentieri, praticamente adesso, anche solo per una birra e per fare due chiacchiere col barman.

Trailer:

Commenti