
Non a torto ad alcuni è parso scorgere rimandi al cinema di Akira Kurosawa e di Terrence Malik seguendo la storia: uno sguardo estraneo quindi, antico, dal sapore esistenziale, dovuto in parte all’ambientazione giapponese del Seicento, dove i due Gesuiti protagonisti sbarcano per scoprire che fine abbia fatto il loro mentore scomparso, ed in parte al percorso pregno di violenza e dolore a cui saranno costretti ad andare incontro, mettendo a dura prova la loro fede, maltrattata da un popolo spiritualmente Buddista, ma fascista nei mezzi. E’ una palude dove il Cristianesimo non può attecchire infatti quella terra misteriosa e desolata che li accoglie, una frase ripetuta più e più volte che anziché risuonare come una preoccupazione o un dubbio è uguale identica a una minaccia, con tanto di inquisitore perverso che per evitare torture ai suoi prigionieri li istiga a calpestare l’immagine di Dio o a sputare sulla sua croce nel caso in cui nel primo test non dimostrino sufficiente convinzione. Una tematica attualissima, urgente, che non può non suscitare paragoni con l’Isis e con la cronaca moderna in generale, che ogni giorno è piena zeppa di scontri tra culture e popoli diversi, in un mondo che, per dirla alla Scorsese, sta perdendo lentamente luce, avvicinandosi all’oscurità. Eppure, a detta proprio del regista, ciò non è nient’altro che un fortuito caso, un qualcosa che rende il suo lavoro incredibilmente puntuale, ma senza la minima programmazione, perché la sceneggiatura di “Silence” - tratta peraltro dal romanzo di Shûsaku Endô e rimaneggiata nel corso dei decenni - avrebbe dovuto avere questo tipo di impronta e di spirito a prescindere dalle tempistiche di uscita, confinata quindi esclusivamente al rapporto uomo-credo che effettivamente, poi, è ciò su cui vuole calcare la mano e interiorizzare maggiormente.

Così, a livello di potenza filmica ecclesiastica, Scorsese, lascia un tantino a bocca asciutta, con un film che fa sentire intensamente quanto a lui sia connesso, ma con il quale non si è mai in totale congiunzione e legittimo trasporto. Narrativamente e stilisticamente parlando una seconda parte assai più sciolta e vivace della prima bisogna ammettere che lo aiuti parecchio a recuperare quota, compattando e ottimizzando ciò che altrimenti avrebbe rischiato di rimanere sfuggente, impreciso e troppo personale o fine a sé stesso.
Che poi è il rischio a cui vanno incontro solitamente prodotti così imbrogliati e voluti ad ogni costo dal loro autore.
Che poi è il rischio a cui vanno incontro solitamente prodotti così imbrogliati e voluti ad ogni costo dal loro autore.
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