Kong: Skull Island - La Recensione

Kong Skull Island Film
Che non fosse il solito blockbusterone americano senza criterio “Kong: Skull Island” ce lo aveva fatto capire dal suo trailer finale: un grande lavoro di sincronia e di ritmo tra musica ed immagini che se il tuo scopo è solo quello di portare la gente al cinema e strappare biglietti non vale di certo la pena compiere. Qualche dubbio al riguardo comunque - come è giusto che sia, e di questi tempi – restava ancora, nonostante pochi mesi fa, il regista Jordan Vogt-Roberts, confessò apertamente il suo dissenso nei confronti dei blockbuster americani recenti, definendoli sostanzialmente - e ha ragione – noiosi e tutti uguali a sé stessi, una dichiarazione che ci orientava ancora di più a pensare che con un euro in mano sarebbe stato più prudente scommettere su una sua vittoria piuttosto che su una sua sconfitta o un pareggio. E – guarda un po’ - avevamo ragione.

Perché “Kong: Skull Island” non è quello che ti aspetti, non è l’ennesimo remake, l’ennesima rivisitazione di quella storia con un regista e un cast d’attori che per questioni economiche si trovano a girare un film sull'isola del teschio entrando in contatto ravvicinato con un enorme gorilla e altre specie non identificate. Quello di Vogt-Roberts è un altro film, un film che non può fare a meno della guerra, la Seconda Mondiale nel prologo e quella del Vietnam a seguire, con un gruppo di scienziati che vogliono sfruttare i finanziamenti economici bellici di quel periodo per organizzare una spedizione su un’isola misteriosa nella quale, secondo alcune ricerche, avvengono delle sparizioni sospette dovute, forse, anche a una creatura sospetta: motivo per cui è necessario munirsi in partenza dell’aiuto di una squadra militare ad hoc e di uno specialista in recuperi straordinari, senza contare la presenza di una fotografa ingombrante, accreditata di straforo. Un film, inoltre, che non vuole neppure fare a meno di guardare a un cinema e a una televisione di quegli anni, i ’70, catturandone l’ironia, l’estetica e concentrandoli in un mix da b-movie che esalta gli ambienti, il Dio che li abita e schiaccia volontariamente lo spessore dei protagonisti, a cui riserva la bidimensionalità che meritano. Secondo la filosofia di Vogt-Roberts infatti un blockbuster non deve fingere di scavare a fondo nei personaggi, non deve fingere di esser profondo, al massimo può riservarsi qualche spiegazione ponderata da gettare qua e là, ma solo per risultare meno brusco e dare parametro all'azione.

Kong Skull IslandC'è allora una strizzatina d'occhio al fanatismo americano bellico di quei tempi, all'atteggiamento spavaldo, impettito, incarnato nella sua totale esposizione da un Samuel L. Jackson che fa discorsi esaltanti, patriottici, e guarda King Kong dal basso all'alto, ma fisso negli occhi promettendogli indirettamente una resa dei conti a cui non si tirerà indietro qualunque cosa accada. Il ritratto di un uomo preoccupato di una guerra agli sgoccioli, che, come il battaglione che comanda, non sarebbe in grado di tornare a vivere una vita normale e che, nonostante il colpo basso inflitto da John Goodman, in quella giungla sconosciuta, piena di insidie e di morte, non si trova poi così a disagio. Ma queste tuttavia sono piccole fotografie di un'altra storia, una storia per cui non c'è abbastanza spazio in "Kong: Skull Island", il quale una volta piantati i chiodi e rafforzato l'esile impianto narrativo ha occhi solo per la sua creatura gigantesca e le origini che, insieme al mito, perde volentieri tempo a delineare. Del resto gli intenti di Vogt-Roberts (e della Warner Bros.) sono quelli di ristrutturare l'epica, di dargli nuova linfa vitale, costruendo un franchise che apra le porte ad un universo in cui, come viene ripetuto spesso, "i mostri esistono" e può capitare che si incontrino/scontrino.

Con grande senso del divertimento, degli effetti speciali e della regia quindi "Kong: Skull Island" non rinnega nessuno di quei segnali positivi inviati in precedenza. Rinnega, magari, due nomi di grosso calibro come Tom Hiddleston e Brie Larson, concedendo al primo solo un'appariscenza da fare invidia e alla seconda idem, insieme a un incontro ravvicinato con la Bestia che però non è mai bagnato da quel significato sentimentale che noi ricordavamo. Questo perché stiamo parlando di una pellicola che preferisce compiere un lavoro minuzioso su scenografie e inquadrature, esaltare lo spettacolo e la star posta al centro, voltando le spalle a ciò che già è stato fatto e, in particolare, già stato detto.

Trailer:

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