La Vendetta Di Un Uomo Tranquillo - La Recensione

La Vendetta Di Un Uomo Tranquillo
Inizia con un piano sequenza ripreso dal sedile posteriore di una macchina, “La Vendetta Di Un Uomo Tranquillo”, macchina che in pochissimi minuti capiamo stare ad aspettare dei banditi entrati a rapinare una gioielleria e che da li a poco, cercando di fuggire, subirà uno schianto che metterà in moto, di riflesso, il vero fuoco della storia.
Un piano sequenza capace quindi di trasmettere palpitazione, tensione, così ben eseguito e curato che a vederlo all’interno di un’opera prima stupisce all’istante e fa pensare al regista e sceneggiatore Raúl Arévalo come a un predestinato, a un talento: salvo poi andare a vedere che il trentasettenne spagnolo, prima di passare dietro la macchina da presa, aveva già all’attivo una carriera avviatissima come attore, dalla quale deve avere imparato certamente più di qualche trucchetto.

Non sbaglia nulla infatti in questa storia che - spoiler della traduzione italiana a parte - di primo acchito monta come il racconto di un uomo timido e taciturno, particolarmente attratto da una barista il cui marito è in prigione a scontare, ormai le briciole, di una pena di otto anni ottenuta proprio nel colpo di cui sopra: dove ricopriva il ruolo passivo, ma vitale di autista. Un’opera che somiglia a una sorta di “Drive” smontato, shakerato e ricostruito, con risvolti da thriller, colpi di scena e un protagonista che, scopriremo, nutrire molto più interesse per la violenza che avrà a che fare con la sua vendetta piuttosto che per la donna della quale vorrebbe prendersi cura e da cui non riesce a distogliere le attenzioni. Una violenza che, anche qui, come nella pellicola di Refn, è esercitata volontariamente eppure sofferta allo stesso modo; inevitabile, necessaria, però per niente scenografica e spettacolare, anzi, il più delle volte nascosta alla camera per aumentare il senso di quel dolore e di quell'umanità demolita a cui non resta nient’altro che esplodere pur sapendo di non poter rinascere dalle ceneri che scaturiranno.

Tarde Para La IraMa i come e i perché, in questo caso, è meglio lasciarli sotterrati, celati, per non rischiare di rovinare (troppo) i sussulti di una sceneggiatura che, tolti i vari zoom iniziali, si lancia spedita in una rincorsa che vale la pena vivere e assaporare sapendone il meno possibile, in quello che a riassumerlo potrebbe sembrare un canovaccio trito e ritrito - e probabilmente, forse lo è pure - ma che dimostra a maggior ragione quanto le modalità e l’abilità dello sviluppo, spesso, possano formare la differenza. E qui torniamo alla bravura esemplare di Arévalo, il quale registicamente non toppa una virgola, dimostra di essere a suo agio, e soprattutto ha l’intuizione di affidare il destino del suo lavoro a un cast dai nomi non esattamente di spicco e dai volti comuni, un cast pertanto chirurgico nell’incarnare la fisicità e l’anima di personaggi di strada e nel non dare mai l’impressione che quello a cui stiamo assistendo sia un film di finzione, appositamente congegnato.

D'altronde l’intelligenza e l’abilità di un regista, a volte, passa anche per questo: per la previsione anticipata dei pro e dei contro di ciò che si vuol realizzare, per lo studio delle migliori soluzioni, per la pazienza necessaria affinché tutto trovi assestamento e non rischi di franare. Step che Arévalo ha saputo rispettare con grande disciplina e che hanno permesso a “La Vendetta Di Un Uomo Tranquillo” di irrompere al cinema, magari tardi, ma con la stessa ira travolgente del suo protagonista.

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