Personal Shopper - La Recensione

Personal Shopper Kristen Stewart
Il personal shopper è colui che si occupa principalmente di vestire e curare l'immagine estetica di qualcun altro, tendenzialmente un VIP, o comunque qualcuno dalla disponibilità economica non indifferente, "troppo occupato" per potersi permettere di gestire in autonomia la sua vita pratica. Tuttavia non è tale figura che interessa raccontare ad Olivier Assayas, che piuttosto decide di prenderla in considerazione per aumentare il contrasto di una storia che guarda proprio al lato opposto del corpo, della sua appariscenza e degli strumenti di contorno volti a valorizzarlo.

La Kristen Stewart protagonista del suo film infatti - che per la seconda volta consecutiva interpreta per il regista francese il ruolo di assistente di una celebrità - fa la personal shopper a Parigi solo in via temporanea, perché è li che è morto suo fratello gemello, quello che, come lei, era un medium e che adesso, secondo il suo istinto, e secondo quella che era un'antica promessa stipulata tra i due, dovrebbe cercare in qualche modo di stabilire un contatto con lei comunicando dall'aldilà: contatto che però deve portare con sé certezze, essere affidabile e non limitarsi - come accade - a un rubinetto dell'acqua aperto o alla comparsa di un ectoplasma aggressivo. Così racconta agli altri (e a sé stessa) di essere in attesa la Maureen della Stewart, un'attesa dietro la quale si nasconde forse molto più di quel segnale paranormale di cui è alla ricerca, un'attesa che prova ad ingannare prestando servizio a una donna complicata, volto glamour della moda, per la quale svolge un lavoro che non la entusiasma, ma che al tempo stesso gli fornisce la maschera più efficace per nascondere quel senso di smarrimento che prova dentro e che in più di un'occasione traspare sul suo volto. Un'attesa, insomma, che vista la scarsa predisposizione nel relazionarsi con le persone, solo uno spirito o roba simile potrebbe riuscire a smuovere e a scacciare, proprio come dimostrano gli strani messaggi privi di mittente, apparsi improvvisamente sul suo telefonino, che lentamente la costringono a fare i conti con le sue paure e con quel rapporto tra reale e surreale che ha contribuito a spingerla e ad incatenarla sull'orlo dello stallo.

Personal Shopper AssayasVa da sé allora che somiglia a un cubo dalle mille facce “Personal Shopper”: è un ghost-movie, un horror, un thriller e, perché no, anche un coming-of-age timido e tenue. Tanti generi che nel corso della pellicola vanno e vengono dandosi il cambio e rifiutando il braccetto, convogliando nello stesso punto solamente a tempo debito, quando Assayas, sapientemente, decide che è arrivato il momento di tirare fuori dal cilindro una soluzione spiazzante, arguta, che ribalta qualsiasi prospettiva e ipotesi, rievocando vagamente, nella sua furbizia e creatività, i scenari del miglior cinema alleniano. Riesce ad essere chirurgico in ogni passaggio o cambio, il regista, che tira a lucido esperienza e abilità montando tensione unicamente attraverso l'uso ragionato della macchina da presa, composizione delle luci e ambienti. Spaventa lo spettatore giocando a plasmare l'atmosfera, che questa sia quella semplice di un castello gotico, quella algida di una casa borghese o quella ambigua di una stanzetta stretta e disordinata, a volte gli basta persino inquadrare lo schermo di un cellulare con dei messaggi scritti in maiuscolo (sinonimo di arrabbiatura) per alzare di colpo l'agitazione, rifiutandosi categoricamente di appoggiarsi allo jump-scare per non scadere nel facile e nell'insulso.

Perché di facile o di insulso il suo "Personal Shopper" non può permettersi nulla, come una bomba a orologeria è concentrato per detonare a livelli multipli, secondo istruzioni ben precise, quelle che non molla fino a quando non è ora di lasciare spazio ai titoli di coda e con le quali ci tiene imprigionati nell'inquietudine e nell'enigmaticità del suo mutevole stato d'animo.

NB: Il film è stato inserito all'interno della settima edizione del Rendez-Vous.

Trailer:

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