Gli avessero anticipato di un biopic dove ad interpretarlo sarebbe stato Tom Cruise, è facile che il vero Barry Seal, dopo una risata, avrebbe seriamente osannato la straordinarietà distopica di un paese come l’America. Lo avrebbe fatto esattamente come fa il suo alter ego belloccio e sfacciato, e sardonico di tanto in tanto, mentre ci racconta come è finito da (ottimo) pilota di una compagnia aerea, ad essere reclutato prima dalla CIA e poi (contemporaneamente) dal cartello colombiano di Medellìn, prestando i suoi servigi, infine, anche per il Governo degli Stati Uniti.
Una parabola stravagante, la sua, realmente accaduta, che “Barry Seal: Una Storia Americana”, forse per aumentare il paradosso, romanza a piacimento e bonariamente, mettendo in chiaro, già dai titoli di testa, che a primeggiare nella storia sarà l’intrattenimento e non la rigida attinenza sui fatti.
Opta per prenderla alla leggera il regista Doug Liman, evitando ogni genere di strada riconducibile al cinema di calco scorsesiano – a cui lo script a sua disposizione ben si adattava – e riuscendo così, di fatto, a mettere in piedi una pellicola intrigante, fresca e gradevole, nonostante il nulla di nuovo da dire presente nel suo contenuto. Con grande mestiere decide quindi di spostare altrove l’attenzione dello spettatore, solleticandolo con la luce di una star che del divertimento e dell’azione è (ancora) fuoriclasse assoluta e riponendo nel cassetto una fedeltà che avrebbe senza dubbio ampliato le ambizioni del suo lavoro, ma presumibilmente pagato assai meno. Ciò non vuol dire, però, che a “Barry Seal: Una Storia Americana” non interessi andare a leggere cosa c’è sul fondo, fare autocritica e ribadire l’arroganza di un paese costantemente attratto dal potere e dal dominio; oppure di inquadrare con precisione il periodo storico di inizio anni ’80 e mettere a fuoco una politica interna tra le peggiori della sua Storia: che prima con Reagan e poi con Bush non aveva alcun problema a sporcarsi le mani quando in ballo c’erano dei tornaconti da raggiungere e da conquistare (come la possibilità di smantellare l’influenza sovietica in Nicaragua, attraverso la fornitura illegale di armi e addestramenti che potessero elevare le eventualità di vittoria dei Contras e della loro controrivoluzione).
A Liman tutti questi aspetti interessano eccome, anzi, cerca nel miglior modo possibile di lasciare che vengano a galla, che siano chiarissimi, definiti. Tuttavia è altresì a conoscenza che si tratta ormai di informazioni riciclate, diverse forse, ma pur sempre uguali rispetto alla vecchia scoperta del Re nudo e quindi insufficienti a farne motivo di punta e colonna di una pellicola. Non fa una piega perciò la sua inclinazione verso il lato più assurdo della vicenda, verso la spettacolarizzazione della stessa, nella quale trova enorme senso riscrivere in bella copia volto e corpo di Barry Seal, fornendo risalto, elasticità e ironia alle sue peripezie: ridipingendolo, praticamente, quasi come fosse un Jordan Belfort dei cieli e andando ad attingere, magari con leggera furbizia, anche ai nomi celebri delle sue cattive frequentazioni, quelle che lo vedevano implicato con figure prestigiose del calibro dei fratelli Ochoa e di Pablo Escobar, qui chiamati in causa, forse, più del dovuto, per motivi di traino e di appeal conseguito.
Una storia americana, quindi, ulteriormente americanizzata.
Non si poteva trovare soluzione migliore per rendere distintivo un personaggio fuori dagli schemi come Seal: un uomo che tra le musiche, i colori e le ambizioni della sua epoca - rievocata splendidamente dall'estetica della pellicola - aveva capito che il modo migliore per inseguire il sogno americano e soddisfare il suo potenziale era vestire i panni del corriere espresso e consegnare pacchi illegali in maniera tempestiva per il suo paese, i narcotrafficanti e chiunque fosse stato disposto a pagare profumatamente per avvalersi dei suoi lodevoli servigi.
In pratica il fondatore involontario, autore di una versione beta dedicata al mercato nero, di ciò che oggi universalmente noi chiamiamo Amazon prime.
Trailer:
Una parabola stravagante, la sua, realmente accaduta, che “Barry Seal: Una Storia Americana”, forse per aumentare il paradosso, romanza a piacimento e bonariamente, mettendo in chiaro, già dai titoli di testa, che a primeggiare nella storia sarà l’intrattenimento e non la rigida attinenza sui fatti.
Opta per prenderla alla leggera il regista Doug Liman, evitando ogni genere di strada riconducibile al cinema di calco scorsesiano – a cui lo script a sua disposizione ben si adattava – e riuscendo così, di fatto, a mettere in piedi una pellicola intrigante, fresca e gradevole, nonostante il nulla di nuovo da dire presente nel suo contenuto. Con grande mestiere decide quindi di spostare altrove l’attenzione dello spettatore, solleticandolo con la luce di una star che del divertimento e dell’azione è (ancora) fuoriclasse assoluta e riponendo nel cassetto una fedeltà che avrebbe senza dubbio ampliato le ambizioni del suo lavoro, ma presumibilmente pagato assai meno. Ciò non vuol dire, però, che a “Barry Seal: Una Storia Americana” non interessi andare a leggere cosa c’è sul fondo, fare autocritica e ribadire l’arroganza di un paese costantemente attratto dal potere e dal dominio; oppure di inquadrare con precisione il periodo storico di inizio anni ’80 e mettere a fuoco una politica interna tra le peggiori della sua Storia: che prima con Reagan e poi con Bush non aveva alcun problema a sporcarsi le mani quando in ballo c’erano dei tornaconti da raggiungere e da conquistare (come la possibilità di smantellare l’influenza sovietica in Nicaragua, attraverso la fornitura illegale di armi e addestramenti che potessero elevare le eventualità di vittoria dei Contras e della loro controrivoluzione).

Una storia americana, quindi, ulteriormente americanizzata.
Non si poteva trovare soluzione migliore per rendere distintivo un personaggio fuori dagli schemi come Seal: un uomo che tra le musiche, i colori e le ambizioni della sua epoca - rievocata splendidamente dall'estetica della pellicola - aveva capito che il modo migliore per inseguire il sogno americano e soddisfare il suo potenziale era vestire i panni del corriere espresso e consegnare pacchi illegali in maniera tempestiva per il suo paese, i narcotrafficanti e chiunque fosse stato disposto a pagare profumatamente per avvalersi dei suoi lodevoli servigi.
In pratica il fondatore involontario, autore di una versione beta dedicata al mercato nero, di ciò che oggi universalmente noi chiamiamo Amazon prime.
Trailer:
Commenti
Posta un commento