La butta in caciara in sostanza Gillespie, una caciara divertente e ordinata, per carità, ma volta a privilegiare più la narrazione e il ritmo che l’autenticità degli eventi. Parte come un documentario allora “Tonya”, con la Harding, l'ex-marito e sua madre che, fatti accomodare, riferiscono la loro versione dei fatti a noi spettatori/giornalisti invisibili, tirando ognuno l’acqua al proprio mulino, ove necessario, e concedendo, poi, dei piccoli spazi a personaggi di secondo piano, comunque non sorvolabili se si vuole andare a vedere integralmente il contorto puzzle finale. Un escamotage che rende la pellicola, sostanzialmente, spassosa e sgangherata all'istante, abbassandone le premesse e alzandone di gran lunga il livello d’intrattenimento. Si comincia dall'infanzia, quindi, da una Tonya bambina - e con la passione già a mille per il pattinaggio artistico - accompagnata da una madre burbera, cinica e, a tratti, violenta che, con la stessa determinazione con cui comanda la figlia, impone alla malcapitata insegnante di turno di prenderla tra le sue (anagraficamente più grandi) allieve. E’ l’inizio del percorso che la porterà a migliorare, a sviluppare il suo enorme talento, senza modificare però il non affetto e la cattiveria della madre che, involontariamente, contribuisce si - come dice lei - a far esprimere al massimo la ragazzina nelle gare, ma anche a far nascere dentro di lei la consapevolezza di non meritare al proprio fianco una persona che gli voglia bene per davvero.

Una disgrazia per lei, ma una manna per la pellicola, questa, che quando deve inscenare l’evento cardine - ovvero la rottura del ginocchio della rivale sportiva Kerrigan - quasi si fa prendere troppo la mano dal nosense arrivando a ricordare vagamente il cinema dei fratelli Coen, toccando probabilmente così le sue vette più alte, non tenute purtroppo vive fino in fondo, come - secondo chi scrive - avrebbe fatto meglio a fare (ma sin dall'inizio).
Perché in questo troppo gigioneggiare, esagerare e andare fuori dalle righe, la sensazione è che non si riesca ad amalgamare sobriamente tutto il composto, perdendo l'occasione di concedere al film un valore più solido e persistente del classico mockumentary spiritoso che punta a sorprendere e a strizzare l'occhio.
Che poi “Tonya”, va detto, sorprende lo stesso, e non solo per una Margot Robbie mai così brava e in parte. Sorprende perché riesce a delineare nello squilibrio generale tutti i suoi protagonisti, perché sa giocare con la macchina da presa, le musiche e gli stacchi di montaggio e, infine, perché nonostante non sia la sua priorità, non perde occasione per tirare frecciate a un’America che, forse, nell’ultimo periodo si è tramutata in bersaglio facile e preferito per molti.
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