Birds Without Names - La Recensione

Birds Without Names Shiraishi
Esistono storie che forse, per essere raccontate a dovere, devono per forza passare per il cinema orientale. Passare per il suo ritmo dapprima compassato, per personaggi che all’occhio di chi viene da una cultura occidentale non possono che risultare bizzarri, atipici, per quella sensibilità e quell’approccio mai comuni e sempre personali che sono simili eppure distaccati da quelle, maggiormente masticate, europee o americane.

Ragionamento concreto in materia che nasce proprio post-visione di “Birds Without Names”, il thriller sentimentale di Kazuya Shiraishi dove una donna mantenuta da un coinquilino di quindici anni più grande, innamorato di lei alla follia, cerca di riprendere i contatti con il suo ex-amante fedifrago e violento, mentre instaura una relazione di ripiego con un secondo uomo anch’esso sposato e propenso a sfruttarla. Una trama che letta così, sulle prime, potrebbe sembrare assai più intricata del previsto, sbrogliata con scioltezza e furbizia da un regista conscio del lavoro teorico dello spettatore e quindi bravissimo nell’organizzare un depistaggio che, oltre ad alterare gli indizi per le cosiddette conclusioni affrettate, inganna anche rispetto a quelle che sono le intenzioni reali della pellicola.
Già, perché arrivati ad un punto specifico, sembra quasi tutto fin troppo chiaro in “Birds Without Name”, sembra quasi non ci sia più nulla da risolvere, al massimo da capire come un piano altamente psicologico possa funzionare in relazione a dei sentimenti imprescindibili che però non ci sono e non hanno alcuna voglia di nascere. E a dir la verità, Shiraishi, quasi se la rischia, portando lo spettatore a credere che il suo lavoro sia meno profondo del previsto e giocando moltissimo su di una superficie che inganna noi, per primi, e i suoi protagonisti per secondi. E’ intelligente, infatti, il regista, molto scaltro: tant’è che non appena la prima scatola – che ci passi il termine – cinese del suo film smette di avere segreti, ecco aprirsene subito una nuova che, in perfetta sincronia con la precedente, lascia infine spazio a una terza e ultima, a cui viene affidato il compito di svelare le carte.

Birds Without Names FilmNon sono poi tanto scontati, in fondo, i personaggi di “Birds Without Name”, o meglio, lo sono gli uomini negativi che la sua protagonista Towako si sceglie per andare a nutrire quel desiderio di autodistruzione, ma sia lei che il suo volgare compagno di appartamento hanno entrambi delle ombre da scoperchiare e su cui fare luce. Ecco perché sono i ribaltamenti a dare spessore, energia e valore ad una pellicola che non sa fare altro che crescere e migliorarsi ad ogni singolo passo; sono le soluzioni registiche e di sceneggiatura mai banali, sotterrate a dovere come fossero trappole, ad aiutarla a distinguersi e ad affermarsi, giungendo ad un terzo atto dove la tensione è a livelli altissimi e i scenari relativi alla risoluzione multipli, e tutti con un sapore ed un peso differenti da digerire.

Chi era diavolo si fa angelo custode, chi era candido, pece e avanti in questo senso miscelando le carte per non avere più punti di riferimento nei confronti di cosa è giusto e cosa è sbagliato. Ogni punto di vista di colpo si fa possibilità, ogni scelta giusta potrebbe essere quella sbagliata: perché andrebbe a colmare un vuoto, creando tuttavia una voragine al suo fianco.
E allora Shiraishi non può che affidarsi alla speranza, alla speranza del ricordo e dell’amore, quell’amore puro, vero, assoluto abbastanza da potersi permettere di morire, ma poi di rinascere. Rinascere migliore, senza difetti, ideale.

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