Downsizing: Vivere Alla Grande - La Recensione

Downsizing Film
Siamo in troppi su questa Terra. La popolazione non fa che aumentare, mentre le risorse - al contrario - cominciano a diminuire. È un dato di fatto. Se andiamo avanti su questa linea e senza prendere provvedimenti, la situazione peggiorerà, è inevitabile: avvicinandoci verso quel collasso che, secondo gli esperti, ha già avuto silente inizio.
Una tiritera di cui siamo stati messi al corrente ripetutamente, definibile come una proiezione preoccupante e drastica, che magari non ci riguarda ancora da vicino, ma che prima o poi - generazione più, generazione meno - rischia davvero di venire a bussare alla porta di noi esseri umani chiedendoci di pagare un conto chissà quanto salato e chissà quanto veemente.

C’è chi allora cerca di rispondere ai primi sintomi sacrificandosi a modo suo, battendosi - per esempio - affinché l’alimentazione a base d'insetti diventi legale e vista con maggior tolleranza e minor pregiudizio dagli scettici; ma c’è pure chi, come Alexander Payne, da tutto questo si limita a cavare uno spunto ingegnoso per scrivere e dirigere una dramedy fantascientifica dove due scienziati norvegesi trovano il metodo di rimpicciolire l’essere umano a 12 cm, abbassando copiosamente il suo consumo di materie prime e quindi l’impiego cumulativo delle risorse del pianeta. Una scoperta che – come gli insetti nel piatto – stuzzica il buon senso generale, attecchendo però in ridottissima parte, con colonie abitate da esseri minuscoli che non tardano ad arrivare, ma che non riescono a compiere, tuttavia, quella rivoluzione ecologica e ambientale sbandierata lungo la scia dell'entusiasmo. Questo perché – ed è quello che poi accade a Matt Damon e a una Kristen Wiig, moglie poco affidabile – quasi la totalità di coloro che accettano di rimpiccolirsi e aderire a questo progetto incredibile, è spinta non tanto dal sacrificio necessario per provare a salvaguardare la natura e il suo habitat, quanto dall’opportunità di abbandonare finalmente una realtà in cui si è sempre appartenuti a una classe-media, inferiore, o comunque non altamente borghese, per una seconda in cui, quasi per magia, con la stessa ricchezza è possibile permettersi uno stile di vita sproporzionatamente superiore, invidiabile e sognato.

Downsizing Alexander PayneL'egoismo umano che non la smette di imporsi e di riciclarsi, quindi, di rendersi protagonista condannandoci sardonicamente a morte, fiero della sua solita insensibilità e spietatezza che forse non è neppure da valutarsi ingiusta o gratuita, se confrontata ai nostri egocentrici e stupidi comportamenti. Eppure no, non è proprio così, o perlomeno non lo è nella misura in cui ci si aspetterebbe da un film con un incipit come quello di “Downsizing: Vivere Alla Grande”. Questo perché Payne non ce la fa a voltare le spalle alla sua furbizia, a non farsi persuadere da quell'indole che gli sussurra, ogni volta, di ricordarsi che col pubblico è molto meglio, nonché produttivo, essere accomodante e simpatico: bastone, si, ma anche carota. Tanta carota. Troppa carota. Perciò, quella che poteva diventare un’acuta riflessione su di noi, sull'essere umano, allestita dal punto di vista antropologico, filosofico e grottesco, finisce col prendere pieghe incomprensibili e tramutarsi in un miscuglio eterogeneo e sconclusionato, utile solo a indebolire i punti di forza di una storia che nel suo primo spaccato aveva dimostrato di avere tutti i presupposti per ambire in alto e per lasciare il segno.

Un ridimensionamento - e non è per voler fare una battuta - che delude le attese e trasmette spaesamento, se non altro per via di una mancata lungimiranza che scaglia la meta della pellicola su un territorio assai più piccolo rispetto a quello a cui era destinata. Un territorio che in principio dava l’impressione di avere il giusto perimetro per accoglierla, ma ristretto man mano, contro la sua volontà, dal superfluo e dal banale, giungendo al punto da non sopportare più nemmeno il peso delle due ore e un quarto di durata.

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