Ghost Stories - La Recensione

Ghost Stories Nyman Film
Il cervello vede quello che vuole vedere.
Una frase culmine in “Ghost Stories”, utilizzata inizialmente come carta infallibile contro qualunque insinuazione di episodio sovrannaturale; destinata ad essere messa in discussione, inevitabilmente, dagli eventi e, infine, a essere re-accreditata attraverso una risoluzione mirabolante e inaspettata che va a cambiare totalmente pelle alla pellicola scritta e diretta da Jeremy Dyson e Andy Nyman: quest’ultimo anche attore protagonista (e sosia non ufficiale di Dario Cassini).
Una frase che - letta fuori da ogni contesto - può significare tutto come niente; con la quale si può essere d’accordo come il contrario, ma che, messa all’interno di una storia dove a dominare è il paranormale, se non correttamente spiegata, rischia di fare un po’ acqua da tutte le parti.

Già, perché se fai vedere una scena in cui, durante una conversazione con un’anziana signora abbondantemente stramba, all’improvviso un bicchiere posizionato alle sue spalle va in mille pezzi, non puoi cavartela razionalizzando l’evento come fosse solo il frutto dell’immaginazione. Per lo più registrata. Devi dare spiegazioni ulteriori. Entrare nel dettaglio. Rivelare il trucco attraverso il quale tale fenomeno è stato reso possibile e oggettivamente palese. Se non lo fai, o se credi che l’approssimazione sia un’ottima via di fuga, poi accade che lo spettatore fatica a seguirti, a starti dietro, distratto e non convinto da un’informazione poco chiara - che sta cercando di mettere a fuoco in autonomia - e che è assai più stuzzicante e affascinante del gioco illusionista messo in piedi successivamente per intrattenerlo. Vorrebbe fare paura, infatti, “Ghost Stories”, suggestionare lo spettatore trattando la tematica del sovrannaturale a metà fra il mockumentary e l’horror classico, due generi dal diverso linguaggio che prova a incollare insieme e a ricomporre con scarsissimi risultati, mostrando ambizioni di originalità piuttosto alte che però non è in grado né di soddisfare e né di gestire, franando nell'incompiutezza assoluta che è forse il risultato peggiore a cui poteva arrivare.

Ghost Stories FreemanDyson e Nyman sanno dove mettere la macchina da presa, sanno come muoverla e come impressionare, ma alla trasposizione cinematografica della loro pièce teatrale manca la cosa, probabilmente, più importante in assoluto: una spina dorsale. La loro pellicola sembra l’unione forzata di quattro (magari di più?) potenziali idee, ancora incomplete, che avrebbero dovuto - secondo il loro punto di vista, almeno - trovare compiutezza porgendosi una mano a vicenda, andare a colmare quindi l’una le lacune e i vuoti dell’altra, sebbene poi, a bocce ferme, il sentore è che siano state più abili a darsi profondamente le spalle.
Eppure, appurato ciò, c'è da ammettere che qualche brivido a casa riesce a portarlo “Ghost Stories”, che qualche momento di cinema rilevante lo azzecca, eccome: certo, magari avrebbe fatto meglio a non abusare troppo dei jump scare, ma complessivamente sulla costruzione della tensione bisogna riconoscergli e concedergli quel minimo di scioltezza.

Scioltezza che non ha, purtroppo, nella sua visione globale, così come nemmeno nella svolta che lo porta a cavalcare, sulle ultime, derive psicologiche che vanno a rimpastare trama e ragionamenti, rendendo maggiormente la sua summa un qualcosa di molto confuso, approssimativo e insoddisfacente.
E questo a prescindere da ciò che vuole vedere o non vedere il cervello.

Trailer:

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