The Predator - La Recensione

The Predator Shane Black
Shane Black in “Predator” ci aveva recitato. Era il 1987 e il fanta-horror-action diretto da John McTiernan, con Arnold Schwarzenegger, non era ancora diventato quel cult intoccabile che conosciamo oggi.
Sono passati trentuno anni da quell'esperienza, durante i quali Black è riuscito ad affermarsi come brillante sceneggiatore prima e come ottimo regista poi, manifestando nei suoi lavori un’affezione particolare e costante per quel cinema anni ’80 e inizio anni ’90 che, probabilmente, deve aver influito, in termini di entusiasmo, sulla scelta – rischiosissima - di lasciarsi coinvolgere sul progetto di un sequel nel quale, in pratica, aveva tutto da perdere.

Eppure, chi lo conosce, poteva immaginare facilmente che, se esisteva qualcuno in grado di non cazzeggiare – passatemi il termine – con il franchise di Predator, quel qualcuno era sicuramente Black. E non solo per via del suo passato, ma per un'intelligenza di fondo che, in scrittura, lo ha sempre contraddistinto, convertendo, di fatto, il suo nome in una sorta di garanzia certificata. La stessa garanzia che permette a “The Predator” di proporsi come uno spettacolo d’intrattenimento muscolare, ispirato e riguardoso verso il suo capostipite, eppure abbastanza sfrontato e acuto da voler camminare sulle proprie gambe: prendendosi la libertà di ampliare e di evolvere un immaginario che altrimenti rischiava di tarpare le ali a possibilità che, forse, valeva la pena di esplorare. E allora ben vengano le astronavi che viaggiano nello spazio alla stessa velocità del Millennium Falcon, che scendano in strada i bambini a festeggiare Halloween e, perché no, che si faccia chiarezza una volta per tutte sul predatore in questione, che analizzandolo attentamente, nel comportamento, sarebbe più giusto, magari, chiamare cacciatore (del resto i cani per stanare le prede ce li hanno loro, no?). Precisazione che, di sicuro, per qualche secondo farà tremare i fedelissimi presenti in sala, salvo poi rassicurarli col sorriso, non appena verrà stabilito che quella di rivedere i nomi (o le etichette) non è un’opzione percorribile.

The Predator 2018Perché ci son cose che si possono cambiare e ce ne sono altre che guai a toccarle.
Così a doversela vedere con gli yautja di turno dovrà essere nuovamente una squadra di soldati, una di quelle fuori di testa, con elementi condannati al macello. Perciò brutti, sporchi e cattivi, tranne per la donna, biologa, di Olivia Munn che, come un pesce fuor d'acqua e per sopravvivere, si trova costretta a restare (a collaborare e a combattere) con loro. Solo in questo modo - con tali soggetti e personalità discutibili - infatti, la penna di Black può partorire battute taglienti e sequenze geniali, capaci di risultare credibili e contribuire a rendere irresistibile una pellicola, fino a prova contraria, straripante dal primo all’ultimo secondo. Incapace di mostrare il fianco neppure nel corso del famoso terzo atto: quello completamente rigirato in fretta e furia e in cui si notano tagli sbrigativi e momenti imprecisi; ma anche quello dove - nonostante tutto - la forza della narrazione e del divertimento non viene meno, confermando ufficialmente la riuscita dell’operazione.

Meglio di così, insomma, era davvero difficile.

Quello di Black è l’avanzamento e il rimodellamento di Predator migliore a cui si potesse aspirare, e se qualche purista o, al limite, provocatore volesse provare a sostenere il contrario, bè, a quel punto sarebbero solamente problemi suoi.

Trailer:

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