C’Era Una Volta A…Hollywood - La Recensione

C’Era Una Volta A Hollywood Tarantino
Ve lo ricordate il fottuto campo da gioco?

Quello sul quale Vincent Vega e Jules, in “Pulp Fiction”, pesavano se la reazione – eventuale – di Marsellus Wallace nei confronti di uno scagnozzo che aveva osato massaggiare i piedi di sua moglie fosse stata onesta o eccessiva?
Bè ecco, parlando di “C’Era Una Volta A…Hollywood”, forse, sarebbe il caso di richiamarlo in causa.

Perché – per dirla come la direbbero i protagonisti di quel (suo) film – in questo caso ci troviamo in un campo da gioco fottutamente diverso da quelli calpestati finora nella filmografia tarantiniana. Non è un mistero che nella sua lunga – o corta, dipende da come preferiate leggerla – carriera Quentin Tarantino è cambiato molto: ha assaporato generi, sperimentato tecniche, sfidato il suo genio alzando sempre l’asticella, con la curiosità di intercettare dove – e se ci – fosse il suo tetto massimo e il suo limite. Un limite che – secondo chi scrive e che lo adora – non è mai riuscito ad inquadrare, a guardare negli occhi: sfornando ogni volta pellicole strabilianti, gargantuesche dal punto di vista tecnico e sorprendentemente mature da quello narrativo. Tutti, però, abbiamo dei limiti e più ne siamo ossessionati; più non vediamo l’ora di sapere quali sono, maggiore è il rischio che prima o poi questi ci si palesino davanti. Cosa che finalmente a Tarantino – a forza di scavare - è successa.
Era arrivato il momento, infatti, che tutto quell’amore per il Cinema che Quentin ci aveva mostrato, regalato e decantato in questi anni trovasse il modo di venire celebrato; che quella passione che lo contraddistingue e che ne ha contraddistinto la formazione artistica trovasse la via per una dedica vera e propria, per un attestato di riconoscenza, un testamento. Quella via si chiama “C’Era Una Volta A…Hollywood” e ha portato il suo regista a fare i conti con un’emotività inedita, straripante e percepibile che, inevitabilmente, deve aver offuscato – in forma volontaria o meno – un pizzico la sua lucidità.

C’Era Una Volta A Hollywood Brad PittParte con il voler raccontare il declino di una star negli ultimi giorni di una Hollywood - quella del 1969 - grandiosa e che non tornerà mai più, allora, la pellicola, sebbene a un certo punto sembri cambiare idea, attirata dall'aria di cambiamento, dai profumi dei set, dalle strade di Los Angeles, le sue insegne ed i suoi cinema. Un po’ come se l’anima di Tarantino fosse combattuta, titubante, spinta dal suo estro da un lato e dai ricordi della sua infanzia e un pizzico di malinconia dall’altro. Due strade che – colpendo sia il cerchio, sia la botte – il regista cerca poi di percorrere insieme, a corrente alternata, forte di una chiusura che, comunque, le andrà ad armonizzare e ad incastrare, sposandole. Un processo che funziona con qualche riserva, tuttavia, che in alcune occasioni rischia di ingolfarsi, di risultare compassato, creando una sorta di ritmo sincopato assolutamente insolito e inaspettato. A venirne fuori, quindi, è un’opera meno tarantiniana se esaminata nel senso pulp del termine – passatemi il concetto - e tarantiniana all'ennesima potenza, invece, se considerato quanto di personale e intimo sia stato inserito, specie in alcune sequenze, attingendo meticolosamente dalla memoria del suo autore.

Un film minore, dunque?

No, semplicemente un film diverso; un campo da gioco distinto. Per certi aspetti un regalo da parte di Tarantino, che condivide emozionato con noi spettatori un pezzo puro di sé stesso e un dispiacere che, forse, da qualche parte, fa rima pure con la fragilità mostrata dall’attore al tramonto Rick Dalton - interpretato da uno straordinario Leonardo DiCaprio a rischio Oscar – nel corso della discesa che lo vede passare dall’eroe che era, a trampolino di lancio – o punch ball – per le nuove leve.
Una generosità nuova, disarmante, insomma, accompagnata dalla dolcezza del personaggio di Margot Robbie e controbilanciata da un fichissimo Brad Pitt a cui è affidato il compito di rompere le righe e riaccendere puntuale la miccia di quello spettacolo irresistibile che, seppur diluito, non smette di timbrare il cartellino e lasciare il segno (chiudendo anche una trilogia Storica).

Trailer:

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