Light Of My Life - La Recensione

Light Of My Life Affleck
C’è un ponte in “Light Of My Life” che, a un certo punto Casey Affleck e sua figlia devono attraversare. Un ponte che non appena viene inquadrato dalla cinepresa tende a ricordare moltissimo quello dove Emily Blunt e famiglia lasciavano brutti ricordi all'inizio di “A Quiet Place: Un Posto Tranquillo”. Un ponte che quando ci si palesa davanti, però, non trasmette quella strana sensazione di plagio o di spaesamento, perché in qualche modo è come se andasse a chiudere un cerchio, a confermare quell'impressione che tra i due film ci fosse una sorta di involontaria (?) connettività.

Sarà lo scenario post-apocalittico, sarà quel parlare a bassa voce e quella voglia (necessaria) di farsi notare il meno possibile, sta di fatto che il ritorno alla regia (e alla sceneggiatura) dell'Affleck più piccolo – la prima volta era stata con lo strambo “Joaquin Phoenix: Io Sono Qui!” – pare essere stato influenzato moltissimo dalle atmosfere e dai toni presenti nella pellicola di John Krasinski. Anche qui, infatti, c’è una famiglia (o ciò che ne resta) costretta ad abbandonare la civiltà, la metropoli, a nascondersi nei boschi e a sopravvivere alla meglio, facendo rifornimento di cibo in centro, presso strutture specifiche e attrezzate, solo quando è strettamente necessario. Il motivo è che al posto dei mostri, stavolta, c’è da fare i conti con un virus che ha colpito e quasi eliminato completamente il genere femminile, e Affleck che è padre di una bambina adolescente immune al batterio, non può permettersi di rischiare che questa fortuna la metta in pericolo: e quindi la veste e la concia (e la presenta) come fosse un maschio. Fa ciò che deve fare, insomma, sebbene spetti a lui – persa la moglie – adempiere pure al difficile ruolo di madre: il che significa affrontare discorsi relativi alla pubertà, al sesso, trovando la sensibilità migliore per insegnare alla figlia come approcciare a quello che c’è fuori e all'essere donna, dentro un mondo che non si sa nemmeno più se potrà essere ancora quello da lui (e da noi) conosciuto.

Light Of My Life FilmLo vediamo Affleck allora – in tutta la sua incredibile intensità e bravura – gestire certi discorsi letteralmente in imbarazzo e a stento, pensando magari a quanto si troverebbe più a suo agio nel mettere in pratica l’ennesima fuga, scovare un rifugio, o proteggere e difendere il suo bene più prezioso da chi è intenzionato a fargli del male. Perché la verità è che ci sono ruoli ai quali noi uomini, per quanto ci sforziamo, non riusciremo mai a sopperire; ruoli fondamentali, naturali, che non ci appartengono e mai lo faranno. Per questo motivo una vita senza donne – ci dice “Light Of My Life”, strizzando al minimo la retorica – è una vita fredda, arida, che ci rende tutti un po’ più cattivi, egoisti e diffidenti verso il prossimo; che ci trasforma in dei selvaggi, in animali affamati, privandoci lentamente di quell'umanità e condivisione che, forse, fa il paio, o addirittura si nutre, di quell'istinto materno, non simulabile o acquisibile dal genere maschile.

Ed è questo, probabilmente, il punto di contatto maggiore che la pellicola di Affleck stabilisce con quella di Krasinski, diventandone quasi un sequel antologico, non ufficiale. In tutti e due ci sono uomini disposti a sacrificare sé stessi per il bene dei propri figli e in tutti e due la figura della donna è considerata come indispensabile per tenere viva la speranza di un futuro sereno, positivo.
Krasinski lo ha detto con l’horror, Affleck scegliendo una via più realistica e filosofica (che non a caso chiama in causa e mette a confronto morale ed etica).
Il risultato, tuttavia, resta il medesimo: ed è ottimo.

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