Figli - La Recensione

Figli Mattia Torre
In principio era un monologo (questo). Ma l’idea di fare di quelle comiche verità un film a tutti gli effetti, Mattia Torre, l’aveva già bella che messa in cantiere. Ultimata, praticamente. Tant'è che uno dei dispiaceri più grandi che seguirono la sua scomparsa fu proprio la mancata regia che, a breve, avrebbe dovuto prendersi in carico.
Un carico che, inevitabilmente, diventò importantissimo per chi restava. Pesante, magari, ma comunque da portare a compimento perché parte di un’eredità, delle volontà di un uomo – e di un amico – che, come mi capitò di scrivere a ridosso della triste notizia, ci mancherà tantissimo.
Anche a noi che, personalmente, non l’abbiamo mai conosciuto.

Perché lo sguardo che aveva Torre su di noi, sul nostro paese e sul quotidiano era uno sguardo speciale, visionario forse, ma dotato della capacità disarmante di tramutarsi facilmente in uno specchio: uno specchio nel quale tutti riuscivamo a vedere (un pezzo di) noi stessi. Una maniera grottesca di raccontarci che a lui riusciva quasi in forma spontanea, probabilmente intrinseca del suo carattere, chi lo sa, ma abilissima a farci sempre ridere di pancia, di gusto, e contemporaneamente a metterci una puntina a disagio: perché quelle bruttezze, quelle aberrazioni di umanità e di egoismo ce le avevamo (e ce le abbiamo) dentro, ed era inutile mentire. E in “Figli” capita lo stesso, con il Nicola di Valerio Mastandrea e la Sara di Paola Cortellesi che fingono una calma apparente, a fronte della preoccupazione verso un secondo figlio in arrivo che per svariati motivi non potrebbero permettersi: e non si tratta (solo) di motivi economici, quanto di un equilibrio (vitale e famigliare) che rischia seriamente di collassare. Allora fingono, si mentono a vicenda e mentono a loro stessi, affrontando la situazione ottimisti di una razionalità che non hanno e che alle prime difficoltà si ricorderanno di non avere, deflagrando in una crisi di coppia che, se non fosse per le estremizzazioni tipiche di Torre, farebbe invidia a quella di Adam Driver e Scarlett Johansson in “Storia Di Un Matrimonio”.

Figli MastandreaEppure, i figli, sono la briciola del problema.
L’epicentro del disastro si trova a monte. Quel monte che Nicola e Sara impacciatamente ci provano a scalare, a un certo punto e presi dalla disperazione, ma che non hanno l’allenamento e le forze per potere affrontare. Ed è qui che entra in gioco la realtà, la difficoltà di riuscire ad adattarsi e di accettare la condizione dell’oggi: influenzata da una precarietà che non ci consente più di vedere in giro quelle famiglie incoraggiate dal periodo post-guerra e dal boom-economico. Colpa delle generazioni precedenti, insomma, di quei vecchi che Torre attacca e che poi fa difendere, in una delle scene più memorabili (e significative) della pellicola; quei vecchi a cui la nostra generazione (l’Italia?) è costretta ad aggrapparsi, sebbene non sia per nulla scontato che possa trovare l’appoggio (totale) di cui ha bisogno. Perché, alla fine, la salvezza – quella vera – la dobbiamo trovare dentro di noi, cominciare a cercarla nelle piccole cose, imparando l’arte inestimabile di accettare e di restare. Imparando a comunicare, perfino: che è faticosissimo.

E si, a tratti, sembra quasi un testamento, è vero. Un testamento sincero e bellissimo.
Sembra, però, perché in realtà Torre ottimista e affettuoso nei nostri confronti lo è stato ogni volta, in ogni suo monologo, spettacolo, o creazione. Per questo gli abbiamo sempre voluto bene a prescindere, per questo riuscire a rivedere il suo spirito in “Figli” – che è diretto egregiamente da Giuseppe Bonito – ci riempie di gioia, così come ci riempie di gioia sapere che i suoi amici non smetteranno di proporre (e di registrare, pare) i suoi testi ancora e ancora (forse addirittura qualcuno inedito).
Celebrandolo e moderando, così, il vuoto della sua assenza.

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