Hammamet - La Recensione

Hammamet Gianni Amelio
Il primo pensiero non può andare che a “Boris”.
Alla puntata nella quale il delegato di rete Diego Lopez – interpretato da Antonio Catania – comunica a tutti di smontare perché, a breve, su quel set arriverà Pierfrancesco Favino per lavorare alla fiction “Luciano Moggi: Un Eroe Italiano”: “si è rapato tutto qui”, gli dice, indicandosi il centro della testa, “è identico, fa impressione!”.
Una previsione azzeccata parzialmente, se vogliamo, perché esteticamente le cose sono andate davvero così, sebbene il personaggio interpretato dall'attore romano, alla fine, si sia trasformato in una sorta di Moggi dalle dimensioni e dal peso decisamente più mastodontiche.

Dei punti di contatto ci sono, però: l’abuso di potere, la corruzione, l’ostinata convinzione – magari pure reale – di essere passati per capri espiatori di un sistema marcio, mai epurato completamente. O perlomeno queste sono le parole che il Bettino Craxi di un Favino identico e impressionante continua a ripetere a chiunque vada a trovarlo nel suo esilio in Tunisia col tentativo di decifrarlo, vederlo, o convincerlo a tornare sui suoi passi e, quindi, nel suo paese. Ci provano, tentano, nonostante sappiano tutti che quel monolite, quel colosso, non si muoverà di un centimetro; che non ammetterà mai le sue colpe, perché semplicemente – per lui – conseguenze di un sistema politico che non poteva funzionare (bene) altrimenti. Il problema, allora, non è tangentopoli, ma chi l’ha manipolata; chi ha deciso di far fuori lui e il suo partito, mantenendo un occhio di riguardo per l’opposizione. Nessuno è innocente, il magna-magna era ovunque, ed è una consapevolezza che tormenta l’uomo non tanto in termini di giustizia, quanto in quelli di eredità: personale, ma forse prima ancora famigliare. Era arrogante, infatti, Craxi – e lo sapeva – tanto quanto era colpevole – e sapeva pure questo – ma da grande statista – ultimo? penultimo? – era innanzitutto cosciente – magari a grandi linee – delle derive politiche (e sociali) che l’Italia stava per prendere con la sua dipartita (professionale); della gente che non voleva più essere popolo – rinunciando a tutto ciò che quella parola poteva significare – e probabilmente, chissà, anche dei Partiti che stavano mutando lentamente verso l’evoluzione (?) a Movimenti.

Hammamet CraxiOra, lungi da Gianni Amelio l’idea di voler sfruttare lo stato recente delle nostre istituzioni per comporre un ritratto reintegrante, o volto al perdono, di chi oggettivamente è colpevole dei reati per cui è stato condannato e umiliato, perché è palese che non sono queste le sue intenzioni. Diverso potrebbe essere, invece, per l’opportunità di stilare un confronto tra ciò che era e ciò che è oggi il mondo di chi ci governa, entrando nel merito della complessità e della preparazione dei personaggi che lo frequentano e che lo dominano. Del resto non è complicato riuscire a rintracciare nelle parole pronunciate da Favino – e da chi gli ruota attorno – dei riferimenti a questa di Italia; a un paese che non è cambiato (e il film è ambientato negli anni '90) e che, se lo ha fatto, è stato solo in minima parte: e che verrebbe da immaginare, a questo punto, non cambierà mai (se non per restare sempre uguale a sé stesso).
Degli spunti, dei ragionamenti fatti a voce alta, forse, che conservano la loro copiosa energia e il loro influsso persino quando Amelio si disorienta e perde le redini della sua pellicola, mettendo da parte la star che ha sul piedistallo per lasciar spazio a chi fino a quel momento gli aveva fatto da spalla.

Ecco, nel finale il suo “Hammamet” ostenta un pizzico dell’affanno del suo Craxi, commette quel paio di errori nemmeno a volerlo imitare, rialzandosi immediatamente, per fortuna, con una scena onirica, vivace e infelice (certo, Amelio non è Paolo Sorrentino), volta a chiudere quel cerchio avente circonferenza estremamente libera.
Un cerchio all'interno del quale il suo protagonista ci fa quasi pena, a vederlo, ma nel quale, noi, non siamo ancora abbastanza clementi (e mai lo saremo, forse) per entrare e portarlo in salvo.

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