Luca - La Recensione

Luca Pixar Poster

Malgrado Disney, ultimamente, ce la stia mettendo tutta per farci intendere che oramai l’obiettivo perseguito è la quantità e non più la qualità, c’è una branca al suo interno che, zitta zitta, pare orientata a voler far muro e a sfuggire alle nuove dinamiche aziendali. 
E questa branca, chiaramente, si chiama Pixar.

Pur non potendo garantire sempre la qualità eccelsa che ha contraddistinto molti dei suoi titoli, infatti, la Pixar continua a mantenere una direzione coerente, una messa a fuoco che gli consente non solo di sbagliare poco o niente, ma anche di realizzare prodotti capaci di arrivare al posto giusto (stavolta niente sala), al momento giusto. Perché in un periodo così emotivamente freddo, incerto e (stra)colmo di controversie, “Luca” è il film perfetto per tornare a respirare, a sognare, e non solo per via di quell’impatto da stagione estiva che, in qualche modo, tende a rifocillare e a rilassarci, ma perché ogni singola immagine che appare sullo schermo sembra studiata al millimetro per scaldare mente e cuore. Un lavoro straordinario di composizione che impatta agli occhi attraverso un’accurata scelta di colori e di saturazione degli stessi: concepiti appositamente per riuscire a evocare una spensieratezza infantile di cui si faranno portabandiera, poi, i tre giovani protagonisti. La Liguria raffigurata e immaginata da Enrico Casarosa – italiano di nascita e al suo esordio in un lungometraggio – del resto è quella estrapolata dai suoi ricordi di bambino, e quindi luogo ideale – chiamato Portorosso – in cui crescere, fare esperienze e capire meglio chi siamo e a che genere di mondo apparteniamo.

Luca Pixar

E per approfondire questo concetto “Luca” si affida alle armi della fantasia, della magia, che si rivelano potentissime sia se assorbite dal punto di vista più superficiale, leggero e legato al puro intrattenimento, sia se si ha voglia di andare a pescare, o a scorgere, messaggi metaforici, dal valore più profondo. Il coinvolgimento è comunque automatico e istintivo, irresistibile per qualunque essere umano: vuoi per questo trio di underdog per cui è inevitabile mettersi a fare il tifo, vuoi per quel “silenzio Bruno” che ogni tanto dovremmo imparare ad adottare tutti, o per le musiche di Gianni Morandi, Edoardo Bennato, Rita Pavone e Mina che quando partono a tutto volume fanno un po’ orgoglio e un po’ nostalgia (e pure tanto piacere, onestamente). Immergersi in quest’avventura è la cosa più facile da compiere, insomma, e il bello è che praticamente non richiede alcun genere di sforzo: è sufficiente premere play ed ecco che all’improvviso, come se niente fosse, il nostro cervello smette di surriscaldarsi e si rilassa, dimenticando per un breve periodo tutto ciò che fino a un secondo prima era lì a tormentarlo.

Un’ora e mezza di suggestioni, di risate, di pensieri sulla nostra adolescenza e – perché no – sul presente (ambiguo) che ci circonda, cucite insieme da un filo incantato che se da una parte illude, virando su un lieto fine improbabile, dall’altra ci tiene particolarmente a tenere acceso un barlume di speranza e di armonia.
Che per quanto surreale, conserva quel non so che di legittimo e in cui vale la pena perseverare.

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