La Fiera Delle Illusioni: Nightmare Alley - La Recensione

La Fiera Delle Illusioni Poster

Per sostenere la causa di Guillermo Del Toro, è sceso in campo nientepopodimeno che Martin Scorsese.
Lo ha fatto con diplomazia, con rispetto: invitando chiunque avesse evitato, o stesse evitando, di andare al cinema a vedere “La Fiera Delle Illusioni: Nightmare Alley”, perché diffidente del genere noir, a tornare sui suoi passi e a concedergli una possibilità.
Si fa così tra colleghi, del resto.
Specialmente in un periodo dove ad essere sostenuti, più che i film, devono essere proprio i cinema. O comunque un certo tipo di cinema: che poi è il motivo principale per cui uno come Scorsese ha deciso di spendersi e immolarsi, mettendoci la faccia.

Certo, se Del Toro ci avesse messo anche del suo, sarebbe stato meglio.
O, forse, sarebbe stato meglio se non ci avesse messo troppo del suo, ora vai a capire.
Sta di fatto che “La Fiera Delle Illusioni: Nightmare Alley” per quanto rappresenti qualcosa che vada difeso e sostenuto – e su questo non ci piove – allo stesso tempo rappresenta anche chi non fa nulla per darsi una mano a farsi difendere e sostenere. E non è una questione di genere; non è il noir a remare contro la pellicola, anzi, probabilmente le sue atmosfere, la scenografia e la splendida fotografia sono i componenti che più riescono a tenerla a galla, a restituirgli interesse, fascino. Parole al miele che non possono essere spese, purtroppo, per una sceneggiatura che sembra sia stata messa in secondo piano e lasciata in balia di sé stessa, come se la puntigliosità della forma potesse bastare a sopperire alla sostanza. Una sostanza che qui è talmente essenziale, talmente scolastica, da risultare ai limiti dello scialbo. Il che è da giudicare come uno spreco, se consideriamo quanti numeri, Del Toro, avesse da mostrare. Gli ingredienti per imporre spessore al suo lavoro non gli mancavano di certo, magari quel che gli mancava (e che gli è mancato) era la voglia di rischiare e osare di più.
Perché va bene fare un remake (l’originale e omonimo è datato 1947), va benissimo rispettare i classici, ma se alla fine della fiera poi ti ritrovi con un pugno di mosche in mano, allora ecco che le illusioni trascendono dal titolo.

La Fiera Delle Illusioni Film

La sensazione è che ci si sia leggermente persi per strada; che il controllo della tela che avrebbe dovuto tessere il ritratto di un America alle prese con la Grande Depressione e degli americani vittime di quella crisi, sia sfuggito di mano a Del Toro, il quale è abilissimo a farne emergere i tratti, ma assai meno ad amalgamarli e a renderli funzionali al racconto (affievolendo pure il parallelismo tra quel mondo e quello di oggi). Disarmato della sua fantasia (e della sua creatività?), si limita quindi a dirigere con mestiere, contenendo i guizzi e azzerando i virtuosismi. Se non fosse per lo stile gotico caratterizzante e per un leggero alone di mistero suggestivo – e un cast di stelle, di cui molte, suoi feticci – faticheremmo quasi ad immaginarcelo lì, seduto dietro la macchina da presa: stavolta, presumibilmente, più indaffarato a far tornare i conti, cercando almeno di agguantare un pareggio, piuttosto che a divertirsi, sorridendo come ai vecchi tempi.
Un pareggio che strappa forse – e non per quanto mi riguarda – per il rotto della cuffia, o per benevolenza del suo fidelizzato pubblico: dopo aver condotto una partita sulla difensiva, lunghissima (due ore e mezza) e in cui sarebbe bastata qualche audace offensiva – tradendo la sacralità dell’opera originale, se necessario – per scongiurare i frutti di un’indifferenza che è disorientante.

Lo è perché, nel bene e nel male, Del Toro ci ha abituato a reazioni diametralmente opposte.
Lo è perché con un pizzico di furbizia si poteva salvare sia baracca che burattini.
Ma soprattutto lo è perché se il destino del cinema (o di un certo cinema) è legato a filo strettissimo (anche) a questi progetti, è fondamentale, per chi se ne assume l'onere, provare quantomeno a dargli un senso.
Altrimenti la fiducia del pubblico finisce con l'esaurirsi, a prescindere dai dispiaceri.

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