Matrix: Resurrections - La Recensione

Matrix Resurrection Poster

Tra Lana Wachowski – ex Larry – e “The Matrix” esiste un legame.
Un legame ampio, forte, intricato, che secondo alcuni – i superficiali – inizia e finisce con il successo e il guadagno economico ottenuto dal franchise, ma secondo altri – i più attenti – prevede anche un coinvolgimento emotivo, personale, spirituale.
Mettetevi nei suoi panni, allora, quando la Warner Bros. l'ha contatta per comunicarle di voler realizzare un quarto capitolo della saga. Aggiungendo che, a prescindere dalle sue opinioni e dal suo coinvolgimento, il progetto s’ha da fare e si farà.

In sostanza, “Matrix: Resurrections” – che rischiava di diventare “Matrix: Qualcos’Altro” – era inevitabile – per dirla come la direbbe l’Agente Smith – e l’unica variabile consisteva nel capire se al suo timone poteva esserci ancora uno dei suoi padri – ora madri – oppure se sarebbe stato affidato allo sconosciuto di turno: scenario che Lana non poteva assolutamente permettersi di sopportare. Messa sotto scacco dalla major, quindi, ci ha pensato lei – orfana della sorella Lilly, ex Andy – a sobbarcarsi di tale onere, promettendo di sottostare alle regole e ai paletti dei blockbuster moderni, ma prendendosi pure una grossa fetta di libertà autoriale per proseguire la storia in maniera sensata e non buttare all’aria nulla della vecchia trilogia: della quale qui non viene rinnegata nemmeno una virgola, se non qualche lettura che cambia di significato. Perciò sequel, remake, prequel e reboot, è qualsiasi cosa contemporaneamente, “Matrix: Resurrections”, che con intelligenza sceglie di andare a rimodellare e a rimodernare la storia originale, per farla calzare meglio ai nostri tempi, utilizzando perfino un linguaggio meta-cinematografico, utile a farsi beffa della sua stessa operazione di riciclo/rilancio.
Una nuova versione con tanto di glitch a seguito e con un Thomas Anderson che non è più hacker, bensì creatore di videogiochi. Di un videogioco: quel “The Matrix” che non smette di sognare - e di allontanare prendendo pillole blu - e che per esorcizzare ha racchiuso in una trilogia che spopola a tal punto da essere prossima a un quarto capitolo (pure qui, guarda un po', ordini della Warner Brothers).

Matrix Resurrection Film

Insomma, con buona pace degli scettici e dei conservatori, la sceneggiatura scritta da Lana Wachowski - con l’aiuto di Aleksandar Hemon e David Mitchell - si rivela al di sopra di qualunque aspettativa.
Una sceneggiatura che ha totalmente senso, o che perlomeno regge alla perfezione un ritorno che appariva – sulle prime – piuttosto forzato e difficile da condividere. Un ritorno che – lo ripetiamo – sarebbe stato inevitabile e che, in questo modo, azzera completamente un’amarezza che eravamo già pronti a sostenere. Certo, “Matrix: Resurections” è lontanissimo dall’essere perfetto; dall’essere minimamente accostabile al suo capostipite, eppure all’interno ha così tante buone idee, così tante genialate messe lì a limitare i danni – con successo – che è impossibile non accettarlo e non accoglierlo con amore. Quell’amore che per lui è praticamente energia, potenza, il cuore di un racconto la cui unica – e vera – direzione è riuscire a risvegliare e a riunire – come fossero un unico corpo – sia Neo che Trinity (ora mamma Tiffany), salvando Matrix dalla sua pessima deriva e guadagnando la possibilità di tornare a migliorarla e a correggerla.

Gli eventi del passato sono serviti, infatti, nel bene e nel male.
Ciò che troviamo è simile, ma diverso, modificato da un sistema che ha lavorato su programmi e algoritmi per aggiornare i protocolli e impedire un recidivo collasso che avrebbe portato, di conseguenza, a un’ennesima rivoluzione: motivo per cui la figura dell’Architetto, ora è rimpiazzata da quella dell’Analista. Spiegone tecnico che – quando arriva – appesantisce un pochino il gusto di una narrazione che, fino a quel momento, era stata abbastanza fluida e vivace, e che, per fortuna, sa come deve fare per tornare immediatamente su quelle frequenze, non appena i concetti base, rivisitati, vengono messi nero su bianco. Trattasi di fondamenta imprescindibili che vanno a influire anche sul ribaltamento dei ruoli tra i due protagonisti, i quali cavalcando ulteriormente l'onda meta innalzata dal film, vedranno i loro tratti leggermente modificati e alterati (bilanciati?): in linea con quanto accaduto negli ultimi anni ai loro creatori.

Senza alcun dubbio, dunque, se questo “Matrix: Resurrections” doveva essere un male, va considerato come il male minore possibile: con le sue idee chiare, azzardate e il grande pregio di essere riuscito a tirare un bel calcio volante a quell’operazione nostalgia che Hollywood stava cercando di imporgli, limitandolo. Al contrario, lui, prova – e ci riesce – a farsi omogeneo, cerebrale, ironico (ma quanto si ride col Merovingio?!), per non deludere i fans e non bruciare nulla della sua (immensa) eredità. Toglie l'acceleratore dall’action innovativo che lo aveva contraddistinto (e che adesso è puro esercizio di stile), per abbracciare in toto il romanticismo e, infine, sfugge con disinvoltura a un tritacarne che, se ci sarà, probabilmente, sarà da considerarsi più che trascurabile e immeritato.
Perché nell’epoca dove i blockbuster sono solo pillole blu e dove le scelte appaiono obbligate, Lana Wachowski diventa il nostro Morpheus e si fa in quattro per regalarci un'inaspettata pillola rossa.
Che non so voi, ma io mi prendo volentieri.

Trailer:

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