Un Eroe - La Recensione

Un Eroe Poster Film

Con Asghar Farhadi è così: nulla è mai semplice come sembra.
C’è sempre un timore, un particolare, una zona grigia da esplorare pronta a rovesciare ogni certezza per costringere noi spettatori a guardarci dentro, a chiederci che cosa faremmo se ci trovassimo nella (scomoda) posizione dei protagonisti sullo schermo.
E la risposta, banalmente, non è mai a portata di mano.

Perché l’etica e la morale sono due concetti semplici – appunto – solamente sulla carta, solamente in linea teorica. E quando li prendi e li vai ad applicare alla vita vera, reale, nella quale ci immergiamo ogni giorno, ti accorgi quanto, in pratica, la loro purezza possa mutare, farsi intricata, proprio come il percorso di un labirinto visto dall’alto e poi squadrato dall’interno. Un labirinto nel quale si ritrova intrappolato Rahim, l’eroe del titolo: carcerato per non aver pagato un grosso debito e osannato dai media per aver ritrovato e restituito alla legittima proprietaria una borsa con delle monete d’oro che, nei due giorni di congedo dalla prigione, avrebbe potuto vendere per risanare gran parte del suo ammanco. Un atto da benefattore, da uomo d’onore, che inaspettatamente attira enorme attenzioni su di lui, coinvolgendo società benefiche e istituzioni che pare non vedano l’ora di aiutarlo a riabilitarsi in società e a cancellare la sua macchia: chiamando in causa l’uomo – di colpo diventato quasi il cattivo – a cui deve il denaro e chiedendogli di essere clemente e di venirgli incontro. Un paradosso che trascende i ruoli dei due soggetti implicati e va a scagliarsi dritto al cuore di un paese che per la malizia, il cinismo e la superficialità con cui affronta la questione è sì da rimproverare, ma non è neanche tanto diverso, poi, dal resto del mondo che lo circonda.

Un Eroe Farhadi

Anche se racconta il suo Iran, infatti, Farhadi parla di noi.
Delle inclinazioni, delle contraddizioni che ci governano e delle conseguenze che ciò comporta. Lo fa di riflesso, chiaramente, smontando i cliché del buono e del cattivo e del giusto e dello sbagliato. Provoca quel prurito e quell'irrequietezza che va a mettere in discussione la rassicurante suddivisione in scatole bianche, o nere a cui siamo tendenzialmente aggrappati: suggerendole come due categorie che fanno (e che faranno in eterno) acqua da tutte le parti. La verità, in fondo, è una scelta. E per abbracciarla, spesso, è indispensabile approdare nella via di mezzo (accettando che esista): in quel grigio scomodo e fastidioso in cui bianco e nero devono mischiarsi per sopperire (e sopravvivere) al contesto e alle necessità del momento. Non c’è buono e non c’è cattivo, allora, in “Un Eroe”: ognuno è colpevole e innocente, a seconda delle circostanze e dei punti di vista. Ed è una riflessione che non serve realizzare a mente fredda, o raggiungere attraverso chissà quale genere di meditazione, perché basta lasciarsi trasportare dalla meravigliosa autenticità della vicenda per rassegnarsi al fatto che nessuno dei personaggi coinvolti può vantarsi di appartenere a una classe assoluta.

Ma quando si tratta di dover tirare le somme e di pagare pegno, Farhadi conferma che le cifre da versare cambiano a seconda dei ruoli e delle posizioni coperte. Lì non c'è morale e non c'è etica che tengano. E, forse, questa è l’unica costante sulla quale quel famoso grigio non potrà mai intervenire e dove, purtroppo, bianco e nero continueranno a dominare.
La salvezza ha un suo prezzo e chi non può permettersi di pagarlo deve rassegnarsi al suo umile destino. Mettendoci la faccia e, magari, rimettendoci l’onore.

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