Fright Night - La Recensione

Poteva essere probabilmente uno dei remake più sbagliati della storia del cinema contemporaneo. Non aveva per niente senso andare a toccare una perla del genere horror che, nonostante i suoi ventisei anni d’età, ancora oggi risultava perfettamente in grado di brillare come allora. Ma evidentemente questo tipo di ragionamento non è passato nemmeno per un momento nella testa dello sceneggiatore Marti Noxon (Buffy the Vampire Slayer) e in quella del regista Craig Gillespie ("Lars e Una Ragazza Tutta Sua"), altrimenti, i due, non avrebbero mai potuto realizzare un progetto coraggiosissimo come quello di “Fright Night”, il remake moderno de ”L’AmmazzaVampiri” di Tom Holland.

Era evidente che superare/eguagliare il film originale non fosse possibile, per cui diventava fondamentale trovare una strada in grado di accontentare sia chi avesse visto la vecchia versione e sia, chi invece, non l’avesse vista affatto. Il pregio di questo remake, allora, diventa proprio l’essere riuscito a raggiungere il risultato sperato, portando sullo schermo una storia che mantiene rigorosamente lo scheletro originale ma allo stesso tempo si prende anche la libertà di aggiungere alcune sfumature, necessarie a staccare il più possibile il pesantissimo confronto con la precedente versione. Appurato ciò la pellicola può scrollarsi di dosso il macigno che portava sulle spalle e viaggiare a vele spiegate forte di una regia attenta e una sceneggiatura robusta.

Charley Brewster (Anton Yelchin) è uno studente, ex nerd, che sta vivendo un momento della sua vita abbastanza fortunato, ragazza popolare compresa. Le cose cambiano quando, nella casa accanto alla sua, viene ad abitare il misterioso Jerry (Colin Farrell), un uomo molto affascinante quanto particolare. In poco tempo Charlie scoprirà che Jerry non solo è legato alle strane sparizioni che stanno avvenendo ultimamente nella sua cittadina ma soprattutto che questo, è uno spaventoso vampiro.

La pellicola di Gillespie trova immediatamente il giusto ritmo di racconto. La storia non perde mai di vista il suo obiettivo, cioè intrattenere divertendo e spaventare, quando richiesto, lo spettatore, lavoro semplice da portare a termine quando si ha a disposizione un soggetto impeccabile come quello scritto da Holland. Ma Gillespie è anche bravo, lo aveva dimostrato con la sua opera precedente e lo conferma nuovamente anche stavolta e, servendosi alla perfezione dei suoi giovani protagonisti, mette in mostra, subordinati alla trama principale, anche alcuni dei disagi giovanili più rilevanti che affliggono da sempre gli adolescenti.

Quello che poteva essere migliorato, forse, è l'aggiunta di maggiore carisma all'interno di alcuni personaggi. Uno su tutti, e il più importante se vogliamo, proprio il Jerry di Colin Farrell. Il ruolo da lui rilevato era probabilmente il più difficile da interpretare ma, a quanto pare, l’attore statunitense ancora una volta sembra non essere riuscito a sfruttare l'ottima occasione a disposizione. Impossibile non effettuare il paragone con l'altro Jerry, quello di Chris Sarandon. Farrell sembra mancare un po’ di caratterizzazione, magari esagerare maggiormente il suo "essere vampiro" lo avrebbe aiutato di più, specie in alcune scene. Un'altro personaggio che poteva avere più fascino è il Peter Vincent interpretato da David Tennant. Solo buona la sua interpretazione ma non ottima da garantirgli una nota di rilievo. Un vero peccato, se si pensa che quel ruolo era tra i più belli dello script originale.

Doveroso sottolineare, invece, l'ottima prova del giovane Anton Yelchin, già in evidenza in altre preziose pellicole come “Charlie Bartlett” e “Star Trek”, insieme a lui il bravissimo Christopher Mintz-Plasse, ormai nerd per eccellenza, un’altro promettentissimo attore salito alla ribalta grazie al quell'altro gioiellino intitolato “Superbad”.

Fa molto piacere constatare che a volte i remake possano essere anche dei prodotti positivi. In questo caso, però, è necessario, oltre che elogiare questo film, invitare soprattutto, chiunque non l’avesse già fatto, a recuperare quel grande pezzo pregiato che era l’originale. Una mancanza che nessuno, ma proprio nessuno, può permettersi di avere. Perché alla fine, a che servono i remake se non a rispolverare i titoli originali più vecchi per rendersi conto di quanto questi fossero belli?

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